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Data: 30/12/2020 - Anno: 26 - Numero: 2 - Pagina: 11 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

11 SETTEMBRE 1943: GLI “ALLEATI” ENTRANO IN CATANZARO.

Letture: 668               AUTORE: Mario Saccà (Altri articoli dell'autore)        

Questo pezzo era stato inviato, per costituire la presentazione della ricerca sui bombardamenti alleati
che colpirono la Calabria nel corso della fine dell’estate del 1943 mettendo in risalto il bilancio delle
vittime civili e dei danni al patrimonio edilizio. È stato scartato senza motivare la scelta ma credo che
comunque sia utile conoscere il racconto dell’entrata delle truppe canadesi in Catanzaro.
Il quadro riassuntivo degli eventi riguarda anche anni precedenti mettendo in luce la strategia di ogni
forza combattente moderna: colpire le linee di comunicazione, gli impianti industriali, le popolazioni dei
territori per provocarne il distacco dai regimi che le avevano governate. Questo fu il motivo conduttore
dell’azione delle forze aeree sui fronti d’Europa e del Pacifico dove la prima bomba atomica piegò la
resistenza residua degli ambienti militaristi giapponesi convincendoli alla resa e alla firma della pace
sottoscritta dall’imperatore Hirohito sulla corazzata Missouri, per evitare altre catastrofi alle incolpevoli
popolazioni. Gli storici contemporanei, come si nota anche nelle trasmissioni televisive dei canali dedicati
dalla RAI, tendono a reinterpretare quel tipo di scelta militare e si chiedono se le bombe precipitate su città
prive di installazioni militari o industriali, cito per tutte Dresda, devono essere ritenute dei reati contro
l’umanità. Non possiamo provocare la retromarcia della storia: gli eventi hanno avuto quello svolgimento
tragico che ha visto anche le stragi dei campi di sterminio nazisti nei quali l’uomo ha mostrato il fondo della
malvagità. Mi chiedo spesso se è necessario che la televisione italiana o di altri paesi si soffermino molto
su quel periodo storico e non sulla lettura del mondo di questi anni. La risposta è in due aspetti: gli archivi
della seconda guerra mondiale e dei Paesi che l’hanno combattuta si stanno aprendo in questi tempi e molte
informazioni prima inconoscibili emergono e consentono nuove letture di tanti fatti, la trasmissione alle
nuove generazioni del senso terribile della guerra tende a far loro prendere coscienza della necessità della
pace che la politica deve perseguire.
Ora qualche annotazione sulle bombe che hanno colpito la Calabria e le sue città. Nel cinquantenario del
bombardamento di Catanzaro era sindaco il compianto Franco Fiorita al quale sollecitai la commemorazione
dell’evento, cosa che Egli fece deliberando l’affissione della lapide che si vede sulla parete Sud della nostra
cattedrale scoperta nella stessa giornata di cinque decenni prima: l’avv. Giovanni Le Pera, autore di un libro
fondamentale e molto bene documentato sull’argomento CZ 40, tenne la relazione ufficiale. Nei libri fin qui
pubblicati il quadro generale è stato arricchito da altre fonti come il diario del gen. Bologna, comandante
della Divisione Mantova, da testimonianze e documenti nuovi. che consentono una visione più completa
su aspetti militari ed umani anche grazie ad un’ampia illustrazione fotografica. La ricerca ha consentito di
conoscere e pubblicare l’elenco dei militari caduti in battaglia o morti in prigionia, mentre alcune interviste
fatte a testimoni del bombardamento hanno reso palpabile il racconto del dramma vissuto dalla popolazione
di Catanzaro. Oggi la domanda che pongo è: era proprio necessario terrorizzare i Catanzaresi colpendoli
in quel modo? Se esistevano degli informatori delle forze alleate penso che avrebbero potuto riferire che
le forze armate stanziate nel territorio erano ormai disorientate, non avendo più disposizioni dal Re e dagli alti comandi fuggiti a Brindisi, animate non da spirito bellico ma dalla voglia di tornare a casa. Per essere
più chiaro cito dal libro dello scrittore canadese Farley Mowat che fece parte del reggimento Hastings e
Principe Edoardo entrato con i liberatori in città l’11 Settembre del 1943:
“…in tutta la regione, lungo l’itinerario della marcia e per una vasta estensione nell’interno, l’esercito
italiano rimaneva nelle caserme o negli attendamenti. Erano forze ben armate e completamente equipaggiate
per dar battaglia, e, sebbene il maresciallo Badoglio avesse concluso la pace con gli alleati, non si trattava
di una pace universalmente accettata dai militari italiani. Questa situazione scabrosa causò strani incidenti
(vedi scontro sull’Aspromonte di reparti della Nembo l’8 Settembre ’43).” Da Catanzaro Marina l’unità
doveva ripiegare nell’entroterra e salire fino alla città di Catanzaro. Kennedy (ufficiale al comando - ndr)
inviò l’unico suo elemento meccanizzato, \una motocicletta guidata dall’ufficiale addetto alle informazioni,
in avanscoperta per eseguire una ricognizione. L’ufficiale fece salire il sergente Bruce Richmond sul sellino
posteriore e partì con la motocicletta scoppiettante. A un certo punto giunsero dinanzi a un blocco stradale
di filo spinato situato proprio al centro della divisione Mantova. I campi, su entrambi i lati della strada,
erano gremiti di tende, d’Italiani armati, di pezzi d’artiglieria e di automezzi. Una sentinella abbassò il
fucile, lo puntò contro i nuovi arrivati e non rimase altro da fare che ricorrere al bluff. Il sergente, con il
suo migliore italiano, imparato nelle osterie, chiese in tono brusco di parlare con il generale. La sentinella,
stupita, indietreggiò e chiamò il suo ufficiale. I due canadesi finirono con l’essere condotti, sotto scorta, in
una grande fattoria e, con la temerarietà alimentata dal nervosismo, pretesero non soltanto di parlare con
il generale (facendosi passare per emissari di Montgomery), ma, dopo essersi incontrati con questo grasso
e sudato gentiluomo, richiesero i mezzi di trasporto divisionali al completo, immediatamente per trasferire
il reggimento, lungo la strada di montagna, fino a Catanzaro… Gli Italiani, infine, capitolarono confusi e
accadde così che il reggimento terminò la marcia fino a Catanzaro a bordo di una colonna di autocarri italiani
guidati dagli autisti più suicidi del mondo, gli stessi che appena tre giorni prima erano stati nemici giurati
dei soldati trasportati ora da loro sul suolo della patria (la notizia della firma dell’armistizio di Cassibile
era, infatti, stata data l’8 Settembre - ndr). …Mentre il reggimento aspettava nella piacevole frescura dei
pendii rivestiti di pini, si diffuse la crescente sensazione che la guerra fosse ormai finita e che quanto ne
restava fossero scene da opera comica”. La situazione descritta da Mowat che, in precedenza, raccontando
lo sbarco in Sicilia aveva notato come “gli Italiani non fossero soddisfatti di dover tenere la pianura e quasi
tutte le divisioni della difesa costiera si erano arrese”, e le truppe tedesche avevano ripiegato sulle alture,
avrebbe dovuto indurre i comandi alleati a non infierire sulle popolazioni ormai indifese e certamente non
ostili ai nuovi arrivati e ad inseguire, invece, le truppe tedesche in ritirata. Ma la storia fu diversa!
Ci sarebbero voluti ancora due anni prima che le armi venissero deposte per far posto alla pace.


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