Data: 31/03/2003 - Anno: 9 - Numero: 1 - Pagina: 17 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
CU L’IDÈA NON SI FA’ CARNALAVÀRA SI NON HAI AHRA CASA U PORCU AMMAZZÀTU |
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AUTORE: Tota Gallelli (Altri articoli dell'autore)
CU L’IDÈA NON SI FA’ CARNALAVÀRA SI NON HAI AHRA CASA U PORCU AMMAZZÀTU.
Era questo il motto, ed era vero. Carnevale nel nostro paese non era solo la festa popolare, le allegre e vistose maschere che sfilavano per le strade, che ballavano nelle varie piazzette del borgo, cantando e suonando con chitarre e mandolini, spargendo “cugghjàndri” (confettini colorati), e al loro passare la gente dai balconi e dalle porte lanciava a sua volte manciate di confetti colorati, ma carnevale consisteva principalmente nella uccisone del maiale. Ed era un avvenimento importante, non solo perché si facevano le provviste per l’intero anno, ma anche perché in quei quattro giorni la famiglia festosamente si riuniva attorno ad una tavola imbandita. Il maiale era ancora intero nelle sue due parti e la mamma si accingeva a preparare una “tiana” di soffritto con fegato, polmoni, pancetta, ecc., per continuare poi col pranzo e la cena, sempre a base di carne. C’era poi la giornata delle “frittole” per cui si invitavano amici e parenti, ed era una festa, specie per i bambini. C’è da chiarire che una volta sulla mensa del popolo la carne compariva molto di rado, solo nei giorni di festa, mentre nel periodo di carnevale se ne poteva mangiare a sazietà e in tutti i modi, dal soffritto al ragù, all’arrosto, alle frittole; il martedì si finiva con le polpette. Da mercoledì delle Ceneri “addio carne (carnevale), perché è l’inizio della Quaresima, che allora veniva osservata da tutti. La leggenda polare narrava che la notte tra il martedì e il mercoledì delle Ceneri la vecchina con una pentola d’acqua calda e l’imbuto entrava nelle case per pulire ad ognuno la gola ingorgata di grasso. |