Data: 31/12/2005 - Anno: 11 - Numero: 4 - Pagina: 19 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Immacolata Larocca (Altri articoli dell'autore)
(Ecco una nuova rubrica, secondo noi non meno interessante di altre che contraddistinguono, alcune fin dall’inizio, questo periodico. Nella certezza che sarà gradita dai lettori, ringraziamo la nostra Immacolata Larocca per aver accettato l’invito a curarla.)
“Casa quantu u poi stara e fundi quantu nda poi tenìra”. Così recitava un motto badolatese, molto valido al tempo in cui la gente lottava per la sopravvivenza. La casa comoda non dava loro da mangiare, era quindi più necessario avere tanta terra da coltivare proporzionata alla forza lavoro della famiglia che con i suoi prodotti, se pur magri, assicurava a tutti il cibo quotidiano e nelle buone annate qualcosa di più. Naturalmente nel corso dell’anno c’erano periodi in cui i prodotti abbondavano e periodi in cui venivano a mancare, a seconda della stagione. Da qui l’esigenza di conservare le eccedenze di alcuni alimenti che meglio si prestavano a tale scopo. La conservazione a quei tempi non poteva essere che naturale. Uno dei tanti metodi era l’essiccazione al sole e nel forno a legna, in uso ancora oggi che consiste nel fare evaporare l’acqua contenuta in un alimento esponendolo al calore. Infatti durante il periodo estivo camminando per le vie del paese capita di scorgere stesi al sole pomodori e fichi; fenomeno eccezionale ai nostri giorni ma molto comune nei tempi passati quando la produzione e il consumo di questi alimenti era maggiore, anzi spesso costituivano la prima colazione e il pranzo dei contadini nella stagione invernale. I pomodori una volta essiccati venivano salati, aromatizzati con aglio e basilico e conservati sott’olio in vasi di terracotta (salatùri). Un altro metodo non più in uso, era quello di metterli nel forno caldo dopo l’essiccazione e polverizzarli per poi condire la pasta. I fichi secchi migliori venivano farciti con noci o mandorle o semi di anice, oppure con buccia di mandarini tagliuzzata ed essiccata e successivamente lavorati a forma di croce (crucètti), oppure intrecciati su stecchini di canna (schjocchi). Questi, insieme a quelli sfusi, venivano messi nel forno a legna per completare l’essiccazione. Al sole mettevano ad essiccare anche fave, ceci, fagioli, mandorle, noci, sesamo, castagne, fichi d’India e uva. Quest’ultima prima di essere esposta al sole veniva calata nell’acqua bollente fin quando non cambiava colore e, dopo qualche giorno, infornata. Diventava così uva passa, utilizzata per la preparazione del sanguinaccio e insieme a fichi secchi e noci tritati per un dolce tradizionale natalizio (nipitèrhi). Fichi secchi, noci, castagne infornate e mandorle, accompagnati da un buon bicchiere di vino rallegravano spesso le lunghe serate invernali dei nostri avi, trascorse intorno al braciere o vicino al focolare con amici, parenti e familiari. |