Data: 30/09/2006 - Anno: 12 - Numero: 3 - Pagina: 14 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
INCONTRO CON “IL PAESE LUMINOSO” |
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AUTORE: Imelda Bonato (Altri articoli dell'autore)
è con particolare interesse che partecipo, nel ventennale della provocazione giornalistica di Domenico Lanciano “Badolato, paese in vendita”, con una mia riflessione su alcuni aspetti della vita culturale e sociale di questo antico borgo. “La provocazione” del 1986 è stato il primo messaggio mediatico, teso a catturare l’attenzione su questo paese, abbandonato dall’esodo migratorio. Dopo tanto “clamore” sono stati soprattutto alcuni svizzeri, i primi ad arrivare in questo spopolato paese, ad assaporare la bellezza del luogo, a comperare le prime case abbandonate. Successivamente, un evento drammatico, l’arrivo dei profughi kurdi, nel dicembre 1997, ha mobilitato nella popolazione di Badolato una gara di solidarietà; allo stesso tempo l’amministrazione comunale ha organizzando la loro accoglienza nelle case disabitate del paese. In seguito, l’Associazione Internazionale Pro-Badolato ha avviato un innovativo progetto di inserimento dei profughi kurdi in attività lavorative e nella vita del paese, e una interessante forma di turismo “etico”. Il “Progetto” dell’Associazione, caratterizzato da un forte messaggio mediatico, ha raggiunto i confini europei: “Badolato, il paese dell’accoglienza” ha richiamato nel borgo tantissime presenze, per sostenere e condividere l’esperienza. Fallimentare e ” è stata la sua fine. Ma, nonostante tutto, sono rimaste tracce visibili anche di questa storia: alcune persone hanno scelto di vivere a Badolato, altre di avere una casa per le vacanze; accogliere amici... Il nome Badolato mi arriva per la prima volta nel maggio 1999, ascoltando una trasmissione radiofonica, che raccontava appunto la partecipata solidarietà dei badolatesi al dramma dei Kurdi, e l’articolato progetto di accoglienza. La trasmissione aveva sollecitato il mio desiderio di realizzare un documentario che riflettesse sui sentimenti di solidarietà, appartenenza e condivisione di vita, e l’ascolto della trasmissione aveva sollecitato in me un particolare interesse in questa direzione. Pochi giorni di soggiorno e alla partenza coinvolgimento e spaesamento. Se l’accoglienza dei profughi andava in una direzione fallimentare, che cosa intravedevo in questo paesino spopolato, che nonostante tutto mi sembrava così interessante da impegnarmi in un progetto documentaristico? Ho scritto in quei giorni “Badolato mi appare all’improvviso, suggestiva immagine di un paese in lontananza, aggrappato ad un colle, circondato da colline, quasi sospeso e irreale, l’immagine di un tempo antico, tutto lì raccolto, ampio e stretto nello stesso tempo, con le sue case aggrappate le une alle altre, quasi a tenersi insieme, come un abbraccio. Un paese di fiaba abbandonato dai personaggi, ho chiamato quel pomeriggio... cerco di immaginare la vita d’altri tempi di questo delizioso borgo, dalla struttura urbanistica fortemente socializzante, che potrebbe essere definito un paese dalla socialità obbligata, tanto deve essere stato ravvicinato il contatto, tanto deve essere stato naturale viverci come famiglia allargata”. Badolato: un antico borgo, affascinante nella sua articolata struttura urbanistica di case, palazzi e chiese, vicoli e stradine, inserito in un ambiente naturalistico quasi intatto, davanti al mare azzurro dello Jonio. Una significativa produzione di cultura popolare: una tensione corale vissuta come bisogno di stare insieme, di partecipare, di esserci. Alcuni aspetti urbanistici si differenziano anche da quelli dei paesi vicini. Ogni casa ha la sua particolarità, ma è anche la tessera di un mosaico armonioso, che non bisogna snaturate, poichè la bellezza del paese è nel suo insieme architettonico. Le case un tempo erano impregnate di vita e di socialità; le porte sempre aperte. Dall’interno-casa le finestre si aprono in suggestive inquadrature panoramiche. Sono ancora tanti i forni, collocati nel sottotetto. Anche il catojo, porta sempre aperta su vicoli e stradine, può essere considerato il simbolo della socialità e della microeconomia del luogo. “Il catojo è molto, molto più importante della casa”, mi racconta una contadina badolatese. “Paese e popolo” sono termini pregni di senso per i badolatesi, che rimandano a una vita faticata, ma partecipata, vissuta intensamente. “Eravamo tutti uniti, compatti, ci volevamo bene”: sono brevi e intense frasi, che mi vengono continuamente restituite. Non mi stanco mai di ammirare questo paese, di riflettere su di esso, di cercare nella sua storia altre tracce di conoscenza e di vita. Non mi stanco mai di guardare quei volti segnati dalla fatica, che con voce emozionata mi raccontano... l’orgoglio dei sentimenti condivisi, il senso semplice della dignità umana. Ho ritrovato in questo contesto i presupposti della mia ricerca; ho realizzato quindi, con la collaborazione dell’Associazione culturale “La Radice” un documentario dal titolo: “Badolato: il paese luminoso”. Il rapporto uomo-natura è in questo paese fisiologico; il ciclo delle stagioni è vissuto pienamente: lo sguardo incontra una spazialità luminosa e colorata che va dal paese alle colline, dal paese al mare irrinunciabile. Un tempo le colline erano “coltivate come un giardino”, costruito con fatica e amore giorno per giorno; “Non un metro di terra era incoltivato” mi raccontano con insistenza e orgoglio gli anziani contadini badolatesi. Dalle colline coltivate, il paese si mostrava tutto lì, raccolto, ampio e stretto allo stesso tempo, ad aspettare il ritorno serale della sua gente; e alla sera si “illuminava” di voci che raccontavano come di un amore... il lavoro, la fatica, la gioia, la festa, rinnovando ogni volta una socialità partecipata, ridonando senso e spessore a qualcosa che altrimenti sarebbe stato escluso. è una civiltà contadina, quella badolatese. “Se chiudo gli occhi li vedo: uomini e donne partire a piedi, al mattino, quando la luce del sole è incerta, e le strette viuzze ancora buie, con i loro attrezzi, verso una giornata di fatica”. “Le nostre campagne erano intense di gente in ogni periodo dell’anno. Una immensa produzione agricola, ad esclusivo vantaggio dei proprietari terrieri, i quali possedevano ettari ed ettari di terra, e tanti piccoli contadini solo pochi metri quadrati, o soltanto le braccia lavorative”. Il duro e sfruttato lavoro sui campi era attenuato allo stesso tempo dalla solidarietà e dal legame fortissimo dell’uomo badolatese per la sua terra. Il popolo badolatese è stato sottoposto a pesanti ricatti di lavoro e di vita, dal sapore medievale. Intorno agli anni ’50, si ebbero interessanti movimenti di protesta contro le ingiustizie sociali, per la conquista dei più elementari diritti sindacali. Eccezionale è stata la partecipazione popolare allo storico “Sciopero a rovescio”. Chi è vissuto qui ha conosciuto il doloroso abbandono dell’amato luogo natio, spesso per sempre. Le frasi utilizzate per definire la lontananza: “Badolatesi nel mondo-dispersi nel mondo” la dicono lunga sul sentimento di affetto e di nostalgia che ha accompagnato le partenze migratorie e suggeriscono il senso di dispersione e di distanza infinita. Lentamente e inesorabilmente il paese si è ritrovato triste, solitario, come in attesa. Intorno agli anni ’50 Badolato contava poco meno di 5000 abitanti, oggi sono circa 400, 3000 sono in Marina. Lo hanno spopolato soprattutto le continue emigrazioni, assieme al sorgere del nucleo abitativo di Badolato Marina. `E9 passato molto tempo e anche qui le cose sono cambiate: eppure le tracce di quella cultura contadina ci sono ancora, basta farsi raccontare il recente passato dagli abitanti del paese, la loro vita. Nelle serate estive, è facile godersi un improvvisato ed emozionante “concerto” di canzoni badolatesi, nella piazza del paese. Anche l’interculturalità è di casa a Badolato. Il “Consiglio Italiano Rifugiati” gestisce il “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati” con l’obiettivo di accogliere famiglie o singole persone di rifugiati o richiedenti asilo nel paese, sostenendoli per il periodo di tempo necessario affinchè raggiungano un effettivo inserimento lavorativo e soprattutto una autonomia di vita. Per questo si vedono nella piazza del paese bambini badolatesi, rifugiati e piccoli “turisti” giocare felicemente assieme. I bambini hanno sentimenti più genuini e liberi. è più difficile socializzare per i rifugiati adulti che silenziosamente chiedono comprensione, relazione e simpatia. C’è stato un momento difficile per i Badolatesi rimasti: vedersi arrivare gente “nuova” e sentirsi un po’ spiazzati di fronte a una presa di possesso del paese. Ora avverto in loro una specie di empatico orgoglio, nel riconoscere l’entusiasmo di coloro che riabiteranno il paese in certi periodi dell’anno. So bene che ci sono anche aspetti negativi, contraddizioni, inversioni di tendenza rispetto a quanto affermato. Non si tratta soltanto di salvare e valorizzare questo o altri paesi, non si tratta solo di un discorso turistico-economico, che pure ha la sua fondamentale importanza, si tratta di interrogarci sui valori fondamentali della nostra vita; e questo luogo può essere uno stimolo in questa direzione. Le potenzialità del paese e del territorio vanno valorizzate e rispettate: sono una preziosa risorsa, soprattutto se consideriamo la tendenza alla distruzione del territorio, all’inquinamento e allo sfruttamento indiscriminato delle risorse. Le persone che hanno “incontrato” il paese, sono state catturate dal senso della comunità che il luogo emana. Il dialogo felice di paese e paesaggio suggerisce bellezza e armonia, rende l’incontro semplice e necessario, aiuta a disintossicarsi dallo stress e dalla quantità di informazioni inutilizzate, che ci fanno perdere il contatto con noi stessi. Nel mio primo incontro ho scritto: “Le antiche case di Badolato, in quest’ora inondate di luce, sembrano sorgere dalla terra; della terra hanno lo stesso colore argilloso, sono chiuse e silenziose, ma altrettanto, nella loro semplice e armoniosa struttura, sembrano in attesa di essere dolcemente rivissute”. Nella casa di vacanza badolatese, davanti alle colline argillose, due sociologi mi hanno detto: ”Qui siamo riusciti a rilassarci, a concentrarci, a scrivere un libro, a godere di questo luogo magico”. Ogni presenza lascia le sue tracce, movimento, risonanze. Molte case non sono più abbandonate, stanno per essere dolcemente rivissute.
Imelda Bonato * Documentarista |