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Data: 31/12/2006 - Anno: 12 - Numero: 4 - Pagina: 17 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

TAGGHJATEHRU

Letture: 1225               AUTORE: Antonio Fiorenza (Altri articoli dell'autore)        

E' questo uno dei personaggi più significativi degli anni Quaranta, rimasti bene impressi nella mente di quanti della mia generazione abbiamo avuto modo di conoscere, in Badolato: un pezzente, “simbolo della miserabile quotidianità”, ma amabile e rispettoso!
Il più povero dei poveri, viveva in un sottoscala -catojièhr1u-, dormiva su un giaciglio di paglia, indossava sempre gli stessi abiti, alquanto consunti, impregnati di un palmo di loia, bene in evidenza, specie nelle giornate di sole!
Non disponeva che di un misero tavolo e di una sedia sgangherata, neppure di un focolare, perchè girovago; portava con sè una scodella, una specie di gavetta militare e uno zaino a tracolla, in cui si trovavano cucchiaio, forchetta, contento sempre di consumare quel poco o tanto che gli veniva offerto dalle famiglie, senza mai infastidire alcuno, perchè nel suo atteggiamento si notava un non so che di dignitoso che tradiva uno spirito libero, pur consapevole delle sue condizioni.
Antonio era il suo nome, noto ed apostrofato come Mastrantòni, in quanto pare che da giovane esercitasse il mestiere di calzolaio; ciabattino, certamente!
Alto di statura, corporatura regolare, di carnagione bianca, su cui si manifestava bene la sporcizia cosparsa sulla cute -“ u cuttunìnu”- fronte spaziosa, occhi vispi, capelli folti e crespi, barba incolta, baffi rilevanti, con in capo, sempre, un cappello nero di feltro (?), lo incontravi per le vie principali del paese, ogni giorno su Corso Umberto, soprattutto, lungo “chjazza e pendìna”, da San Nicola al Fosso.
Quando lo apostrofavi, rispondeva con un’umiltà disarmante che lasciava pensosi tutti, anche noi ragazzi, che spesso lo incontravamo per le strade, sovente in Piazza San Nicola, all’uscita dalla Scuola, plesso via Credaro.
Non era petulante nè chiedeva l’elemosina, ma lo stato di bisogno, dello strettamente necessario per la sopravvivenza, era tale che spingeva le famiglie, le generose famiglie di Badolato, non solo le aristocratiche, a ospitarlo in casa, ben felici di offrire un piatto caldo di minestra, un pezzo di pane e un buon bicchiere di vino.
Tirava così a campare alla giornata e, una volta che aveva mangiato, se invitato da altri, ringraziava, dicendo di “essere a posto”, perchè la Provvidenza aveva pensato per lui, in quanto, per Mastrantòni, le case dei Badolatesi erano sempre aperte, anche nell’ora di pranzo.
Una tale figura di pezzente, dal contegno rispettoso, composto, sempre dignitoso, mai servile, ieri, inconcepibile, rappresentava un aspetto della società contadina, della vita di quella parte della popolazione -pochi, in verità!- che viveva nell’estrema miseria, gente povera, dalla situazione economica molto precaria, in cui si identificavano molte “facci ambucciàti”!
Anche per lui suonò un bel giorno la campana a morto e, con funerali a spese del Comune, -cassa di quattro rozze tavole di legno- fu seppellito in una fossa comune, nel cimitero di Badolato, rimanendo del personaggio, sempre vivo nella memoria, il ricordo della povertà e della squallida miseria, vissuta con una certa dignità!
Soverato, Commemorazione dei Defunti, Anno 2006.


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