Data: 31/12/2009 - Anno: 15 - Numero: 3 - Pagina: 26 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Alessandra Saraco (Altri articoli dell'autore)
(Siamo veramente lieti di pubblicare l’articolo che segue, offertoci spontaneamente, non solo per l’argomento che tratta, in perfetta linea con buona parte dell’impostazione di questo periodico, ma ancor più perché è dovuto all’amore e alla penna di una giovine badolatese, l’architetto Alessandra Saraco, che ringraziamo anche da queste colonne.)
Fin da bambina uno dei miei più grandi desideri è stato quello di collaborare a questo periodico. Immaginavo di vedere il mio nome pubblicato su queste pagine e fantasticavo sugli argomenti che avrei potuto scrivere, un po’ per sentirmi “qualcuno”, bimba com’ero, un po’ per dare un contributo, nel mio piccolo, al mio paese, con qualche pensiero personale. Sono cresciuta a Badolato Marina e fino a pochi anni fa, ingenuamente, guardavo il nostro borgo con una certa contrarietà, se così si può dire. Sicuramente con gli occhi di chi ignora tante cose e forse la chiave di tutto stava proprio in quel mio guardare distratto e non nell’osservare attento. Stava nel vivere quei posti semplicemente ascoltando ciò che potevano trasmettermi e non sentendoli davvero miei. La differenza è chiara, sottile, ma non affatto trascurabile, anche perché ha fatto maturare in me, nel corso degli anni, la consapevolezza di trovarmi in un posto invidiabile da tanti, ricco di storia, arte e cultura. Con gli occhi di una bambina vedevo solo tante case “vecchie” tutte ammassate, umide e spoglie. Ogni visita in paese era vissuta da me e dalle mie sorelle come un pegno da pagare, una sorta di punizione che almeno una volta a settimana, nostro malgrado, ci toccava. Camminavamo in quelle strade silenziose pensando a come sarebbe stato bello il ritorno a casa dopo qualche ora e spesso riuscivamo anche ad anticiparlo, inventando improvvisi capogiri e malesseri. Nulla mi legava a quel borgo, tranne gli affetti a cui andavamo a fare visita, ovviamente. Niente mi ricordava un qualcosa di rilevante, né mi richiamava alla mente qualche immagine particolare. Pian piano, però, crescendo e studiando, ho cominciato a capire l’importanza ed a notare l’evidenza di tante cose, che in realtà non mi ero persa fino a quel momento, le avevo semplicemente vissute in maniera errata. Ho iniziato ad apprezzare ciò che di bello abbiamo, non solo le cose palesi, anche quelle più nascoste, da leggere in qualsiasi pietra ed in ogni vicolo, passando così dalla visione statica del nostro paese ad una sua immagine dinamica, viva, animata. È vero che oggi, nella quotidianità, le condizioni non sono favorevoli per poter “costruire” una tale immagine, ma basta solo un minimo di fantasia e qualche ricordo narrato nostalgicamente da mamma e nonne e le strade umide e spesso oggi deserte si trasformano in vie vive e mutevoli, i cui odori e colori cambiano con le stagioni: il tempo della vendemmia, la raccolta delle olive, i profumi primaverili, la luce dell’estate. Mi appaiono davanti agli occhi bambini che corrono e giocano per i vicoli stretti, mentre, come sovente ho sentito raccontare, le donne chiacchierano davanti ai loro usci sempre aperti al vicino. Certo, sicuramente tante cose all’epoca si ignoravano, ma i veri valori no, quelli ancora c’erano. Il mio disappunto iniziale era tale perché non facevo altro, nella mia mente, che paragonare quei luoghi, che oggi vedo così accoglienti, ai paesi sulla costa, alle grandi città, agli abitati sorti più di recente. Ma non c’è assolutamente paragone! Gli spazi che si articolano oggi sono frutto di regole diverse, indubbiamente più moderne, ma non per questo più ordinate. È una realtà che poco ha da condividere con l’organizzazione spaziale di un tempo, è una realtà figlia di strategie economiche, di logiche materialistiche. L’architettura, invece, dovrebbe essere un costante riconoscimento del luogo in cui sorge e da cui essa deve trarre i suoi riferimenti. Il modo in cui noi comprendiamo l’ambiente circostante, e quindi ci “adattiamo” ad esso, dipende dal modo in cui noi lo percepiamo, lo sentiamo, lo viviamo. Quindi, costruire non significa solamente modificare gli spazi ed erigere strutture, ma anche instaurare un legame con il territorio circostante. In tal modo, ciascun sito acquista una sua precisa identità, che lo rende distinguibile dagli altri, unico nella sua conformazione. E così quell’agglomerato di case “vecchie” che vedevo da piccola acquista ora, davanti ai miei occhi e a quelli di ogni osservatore attento, la valenza di un’architettura rispettosa del posto, che si integra con esso, in cui la vita sembra non essersi mai fermata. I suoi materiali, principali testimoni della memoria del passato, le sue forme, le sue sfumature, tutto è proporzionato ed armonico, in ogni via riecheggia lo spirito del luogo, il genius loci, ogni angolo rispecchia i caratteri sociali, culturali ed economici della gente che un tempo l’ha animato. Comprendere le idee di chi prima di noi ha abitato questa terra, salvaguardare le sue ricchezze, ogni sua pietra testimoniale, ci permette di catturare la fisionomia immutata di un luogo così semplice ed ordinato, che si sposa in maniera inevitabile con la natura che lo circonda. Un luogo che se vissuto realmente è in grado di infondere nei suoi ospiti una piacevole tranquillità e la calma dei sensi. Pensare, fino a qualche anno fa, di salire a Badolato Superiore per rilassarmi, per sentire il suo silenzio, era cosa alquanto inimmaginabile per me. Ora, nelle sere d’estate, è quasi un dovere, un’esigenza. Vorrei veramente che il nostro borgo fosse sottratto all’abbandono, si rianimasse, rivivesse, se non come un tempo, quando era indubbiamente il fulcro della vita dei suoi abitanti, per lo meno con l’entusiasmo e l’energia della sua gente di oggi. |