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Data: 31/12/2015 - Anno: 21 - Numero: 3 - Pagina: 16 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

I CATASTI ONCIARI E L’UNITÀ POLITICA DELL’ EUROPA

Letture: 663               AUTORE: Giulio De Loiro (Altri articoli dell'autore)        

“L’Aurora dell’Illuminismo nel Regno di Napoli: i catasti onciari ”: è stato questo il tema
del convegno organizzato, nei giorni 11-12-13 dicembre, dall’Associazione Zeleuco presso
l’Archivio di Stato di Vibo Valentia, un tema particolarmente interessante che ha attratto nel
capoluogo vibonese storici ed autori di catasti onciari già pubblicati in Calabria.
A coordinare i lavori nella tre giorni di Vibo è stato l’on. prof. Saverio di Bella, già
docente di Storia Moderna, affiancato, nelle vesti di moderatori, dai proff. Giuseppe Caridi
ed Enzo Cataldo dell’Università di Messina e dalla dott.ssa Loredana Stano, responsabile del
programma “Catasto onciario sul web” realizzato dall’Archivio di Stato di Cosenza.
Argomento centrale del dibattito sono stati i “catasti onciari”, la riforma fiscale introdotta
nel 1740 dal re di Napoli, Carlo III di Borbone, che sul piano politico ha di fatto determinato
un momento di rottura del sistema feudale, avviando un processo di modernizzazione
nell’amministrazione del Regno.
La ragione di tale riforma è scaturita dal caos in cui si trovava il sistema tributario che
vedeva il giovane Sovrano preoccupato “che i pesi siano con egualianza ripartiti, e ch ’l
povero non sia caricato più delle sue deboli forze, ed il ricco paghi secondo i suoi averi”.
Ma alla ragione di natura fiscale il re di Napoli univa anche una motivazione politica, in
quanto l’eguaglianza a livello tributario avrebbe, nelle intenzioni del sovrano, rappresentato il
primo passo per il superamento dei privilegi feudali e delle sperequazioni, che bloccavano lo
sviluppo sociale ed economico del Meridione d’Italia.
Pur tuttavia, l’introduzione del catasto onciario in tutte le realtà del regno di Napoli è stata
un’operazione abbastanza complessa, che ha richiesto quasi due anni di tempo. Ed è stata,
appunto, questa la ragione, assieme alla previdibile resistenza della nobiltà e della Chiesa, che
ha fatto ritardare l’entrata in vigore dei primi catasti.
È un ritardo, però, che consente agli ecclesiastici e agli appartenenti al ceto dei “meliores”
di ottenere, rispetto all’impianto originario, delle modifiche, che hanno loro permesso di essere
esonerati dal pagamento sia del “testatico”, l’imposta che avrebbe dovuto gravare su tutti
i capifamiglia e sia della “tassa d’industria”, la tassazione sull’attività di lavoro, che alla
fine il catasto finirà per prevedere solo per la categoria degli artigiani, dei contadini e dei
“braccciali”, cioè i lavoratori della terra alla giornata.
Questi vantaggi a favore della nobiltà e della Chiesa, però, annacquano di fatto la riforma
voluta da re Carlo, per cui i catasti onciari riescono solo in minima parte ad eliminare le
storture del vecchio sistema fiscale.
Pur tuttavia, anche a fronte del parziale fallimento della perequazione sui tributi, sono pure
importanti le novità che i catasti onciari, sempre a livello fiscale, riescono ad introdurre.
Di grande rilievo storico, infatti, è nei catasti l’imposizione fiscale nei confronti degli
ecclesiastici unitamente alla tassazione delle rendite delle chiese, cappelle e luoghi pii: é la
prima volta che in un regime feudale, nel quale la Chiesa ha sempre goduto l’esonero da qualsiasi
balzello, viene affermato il principio che nella ripartizione dei tributi non devono esserci zone
franche per nessuno, per cui viene scalzato anche per la Chiesa il diritto dell’intangibilità dei
suoi beni.
Così come si rivela particolarmente significativo, come affermazione del valore politico
dell’eguaglianza, il criterio dell’uniformità nella stima e nella tassazione delle rendite dei beni
presenti nelle diverse realtà del regno di Napoli.
Ma, è indubbio che la migliore eredità lasciataci dai catasti onciari sono le numerose notizie
che si ricavano dai dati storici in essi contenuti e che consentono di fotografare le condizioni di
vita nel ’700, così come si svolge nelle case, nelle campagne e nelle rughe animate da artigiani
e da piccoli laboratori familiari di tessitori e cottonari.
Da qui la necessità di utilizzare questi dati per ricostruire una storia documentata del
Settecento, che consente di conoscere da vicino la popolazione, i nuclei familiari, le proprietà
fondiarie, le rendite di lavoro e, soprattutto, l’organizzazione del sistema feudale, nel quale i
feudatari, affiancati da nobili e da ecclesiastici, costringono attraverso angherie e soprusi la
gente alla fame.
Ma l’utilizzazione dei catasti potrebbe, giusto come ha affermato il prof. Di Bella a
conclusione del convegno, essere interessante e significativa anche in chiave politica, in quanto
il catasto onciario ha rappresentato lo strumento più incisivo con cui Carlo III di Borbone ha
avviato il processo di unificazione e di modernizzazione politica delle diverse realtà del regno
di Napoli.
Per questa ragione, sarebbe auspicabile che oggi i vari Paesi europei facessero tesoro di
questa esperienza, nel tentativo di ricercare un’identita storica comune, su cui poter, poi,
costruire una vera e propria unità politica dell’Europa.


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