Data: 31/12/2016 - Anno: 22 - Numero: 3 - Pagina: 10 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
“L’ENIGMA DELLA ZIZZANIA” |
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AUTORE: Gerardo Pagano (Altri articoli dell'autore)
Il libro è una sollecitazione a leggere la parabola evangelica del grano e della zizzania, per molti aspetti complessa o, addirittura, misteriosa, applicandola alla concreta situazione che il nostro Paese sta vivendo a causa dei terribili fenomeni mafiosi che talvolta sembrano lambire la stessa vita della Chiesa. Da questa situazione si può uscire - è questo il convincimento dell’Autore - se la società italiana, e in particolare quella calabrese, saranno capaci di ritessere il filo della speranza puntando sulla dimensione educativa. È evidente, secondo l’Autore, che la premessa di questa opposizione è l’analisi puntuale delle concrete situazioni in cui si manifestano gli atteggiamenti mafiosi, avendo chiara la consapevolezza che questi caratterizzano in modo diverso i diversi momenti della vita sociale. Magistratura e forze dell’ordine hanno il compito di prevenire e di perseguire i delitti di mafia come criminalità organizzata. La ormai sterminata letteratura che studia, analizza e racconta le diverse mafie sembra aver individuato le aree geografiche di origine, per così dire, dei fenomeni mafiosi, individuando anche le peculiarità delle diverse aree di insediamento primitivo legato alla storia sociale e politica di ciascuna. Sotto questo aspetto il contrasto alle mafie è divenuto più complesso per i legami che nel tempo si sono stabiliti tra le diverse mafie, e, soprattutto, per la estensione a livello nazionale e internazionale che utilizza per i suoi scopi criminali le modalità della globalizzazione. Solo una organizzazione articolata e flessibile riesce a penetrare le vie attraverso le quali si sviluppa l’economia criminale. Eppure a questo livello di globalizzazione del crimine ancora non corrisponde un adeguato livello normativo e pratico di opposizione delle diverse magistrature e delle diverse polizie. Ma di questo aspetto, che possiamo definire di criminalità organizzata conclamata, possiamo dire che esiste una consapevolezza diffusa anche per merito di quella letteratura che ho citato e dell’insieme dei mezzi di comunicazione di massa. Eppure spesso il fenomeno lo sentiamo lontano, distante, come se non ci toccasse da vicino, come quando ci accorgiamo di un incendio, di cui vediamo il fumo e ci tranquillizziamo se rileviamo il rumore del Canadair o dell’elicottero dei vigili del fuoco. Ecco: il fenomeno esiste, ne abbiamo sentore, ne abbiamo visto e vissuto le tragiche manifestazioni: morti ammazzati anche in mezzo alla gente, in luoghi affollati. Ma qui deve intervenire lo Stato, con le forze dell’ordine, la magistratura ed è giusto che noi abbiamo fiducia nel loro intervento. Ma per quanto riguarda noi cittadini, la nostra responsabilità, questo atteggiamento da spettatori non basta, non è sufficiente. Il libro dell’Arcivescovo Bertolone svolge, appunto, la tesi che oltre lo Stato e le sue articolazioni, la società, i suoi momenti organizzati, la famiglia, la scuola, la Chiesa, anzi le chiese, la cultura, i mezzi di comunicazione di massa, (oggi usa dire i social ) sono chiamati a riconoscere la zizzania, la mala pianta che alligna e cresce insieme con il grano: la parabola del Vangelo di Matteo si presta utilmente a indicare le modalità e le vie di questa opera di discernimento. Che deve innanzitutto chiarire e superaree il possibile equivoco della zizzania. Essa è stata seminata di notte dal nemico del seminatore del grano buono; essa è destinata a crescere insieme con esso e, per questo, può danneggiarlo. Perché non estirparla? O, meglio, quando estirparla? La risposta di Gesù: verrà il momento, è stata interpretata in modi diversi, talora opposti. A me sembra che l’insegnamento della parabola stia, come dicevo, innanzitutto nel discernimento, nel riconoscere, cioè, la mala pianta. È quello che, secondo me, vuole dire mons. Bertolone, quando, parlando del metodo Puglisi, sottolinea l’importanza dell’analisi scientifica della situazione nella quale viviamo. Abbiamo il dovere di capire, di studiare per capire, avendo chiaro lo schema: non ci sono due campi, in cui si giocano due partite. No, il campo è uno solo: e bisogna avere la capacità di vivere secondo i principi del grano sano, avendo la prudenza, ma anche la forza, di non farci tentare dalla mala pianta. Questo rischio esiste: e si può superare solo con una solida formazione, che, nel caso di don Pino Puglisi, è costituita dalla scelta del Vangelo come regola di vita: “il metodo della povertà personale (che non teme di portare ai piedi scarpe bucate e di non disporre di un nutrito guardaroba), delle missioni popolari tra la gente (per riannunciare sempre daccapo e in ogni famiglia la genuina parola di Dio), dell’analisi scientifica dei bisogni immediati delle persone, della moralizzazione delle feste popolari (per non sprecare inutilmente il danaro per cantanti, spettacoli e fuochi d’artificio molto costosi), della corresponsabilità pastorale (invogliando i laici ad essere partecipi responsabili delle attività della parrocchia) dei momenti civici per far sentire la voce dell’intera comunità (e non di uno solo) sui particolari temi sociali, della formazione remota e prossima alle celebrazioni sacramentali.” Questa scelta evangelica che mons. Bertolone chiama metodo Puglisi, porterà il prete siciliano a vivere ed operare in modo da apparire alla cosca di Brancaccio un ostacolo insuperabile per il suo dominio sul territorio: i sicari lo eliminarono in odium fidei, per fermare la sua attività pastorale e distruggere i suoi risultati. Ma qui ritorna la domanda che sempre emerge a fronte di testimonianze luminose e inarrivabili come quelle dei martiri: noi comuni cittadini, se volete cattolici praticanti, avremmo la forza e il coraggio di affrontar il martirio? E se non si ha la grazia della fede? Il libro di mons. Bertolone si rivolge chiaramente ai credenti: a quanti, cioè, dovrebbero avere un più avvertito senso di responsabilità, radicato come dovrebbe essere, sui solidi principi del Vangelo. Ma tra questi suoi naturali interlocutori l’Autore trova e indica anche quelli che si fanno zizzania, mimetizzandosi tra le spighe del grano buono. Gli esempi più eclatanti si trovano tra gli uomini di Chiesa, non solo i frati di Mazzarino, ma anche autorevoli membri della Gerarchia, che sono indicati con nome e cognome, come autorevole esempio di trasparenza. Non meraviglia, perciò, che le forme della religiosità popolare, vissuta con autentica fede da tante persone di diverso livello culturale, siano utilizzate da personaggi della malavita per dare lustro alla loro immagine, ma soprattutto di affermare e confermare il ruolo di dominio, di potere nella comunità. Potere e danaro sono il concime della zizzania: questa rilevazione comporta l’ampliamento delle nostre riflessioni alle caratteristiche strutturali della nostra società occidentale, a fronte delle quali Papa Francesco ha sottolineato e condannato gli aspetti di ingiustizia sociale e di sfruttamento delle persone e della natura. Dobbiamo essere grati a Mons. Bertolone di aver sollecitato con questo libro non solo l’attenzione sulla santità e sul martirio di don Puglisi, ma anche di averci guidato a leggere e ad analizzare un testo complesso come quello della parabola della zizzania. Richiamare l’esempio di don Puglisi serve, dunque,a chiarire alcuni equivoci e ad evitare che divengano clamorosi errori di valutazione. Il primo equivoco è quello della Chiesa che tende a stringere patti con i potenti, con quanti sono o si fanno depositari di un potere. Esiste, purtroppo, una tradizione, una convinzione consolidatasi nel tempo, addirittura nei secoli. Il potere ecclesiastico, per non essere scalfito, anzi per consolidarsi, propende ad accettare l’esistenza di altri poteri, delimitando e rispettando le rispettive competenze. Non mancano gli esempi, anche di anni recenti. Mons. Bertolone, l’ho già rilevato, ha il coraggio di fare i nomi. Don Puglisi esercita, svolge il suo lavoro di parroco come una missione di servizio per sostenere i più poveri e dare loro, come a tutti i parrocchiani, le occasioni e gli strumenti per vivere da cittadini liberi e consapevoli dei loro diritti e della loro dignità. Lo scontro con chi, invece, vuole imporre nel quartiere il suo dominio incontrastato è inevitabile: non è necessario che sia proclamato, ostentato, è nelle cose, nei fatti. La Chiesa missionaria non è potere, ma servizio e dev’essere bloccata, annientata. L’oggettiva contrapposizione tra Chiesa e mafia, chiarisce questo libro, è l’oggettiva distinzione tra grano buono e zizzania. L’equivoco del potere ecclesiastico è spazzato via. Il martirio di don Puglisi (e qui la parola martirio va intesa nel suo significato proprio e originario di testimonianza rigorosa) elimina un secondo equivoco: quello che i preti sono attaccati al danaro, la “auri sacra fames” di cui parla anche mons. Bertolone. Certo la ricchezza è un’esca allettante, utile a trasformare la convivenza in connivenza. Un tempo le parrocchie erano ricercate per le rendite connesse alla stessa istituzione. Oggi le regole sono cambiate, ma anche qui necessità di sostentamento e povertà evangelica possono entrare in contraddizione e le tentazioni degli agi, della comodità al di là della dignitosa regola di vita, può rendere succubi di quanti utilizzano il loro potere economico per asservire le persone. Per concludere, il libro sembra contenere un messaggio rivolto soprattutto all’interno della Chiesa intesa come istituzione. Ma basta spostare l’accento all’idea di Chiesa come popolo di Dio per cogliere il valore pieno di queste riflessioni, che potrebbero utilmente essere proposte come testo nell’insegnamento della Religione Cattolica, previsto dall’attuale ordinamento della scuola italiana. Anzi una lettura attenta consente di rilevare che la parabola della zizzania e il connesso enigma interpellano tutta la società italiana, al di là dell’appartenenza al mondo cattolico, come universale è il messaggio evangelico. Gli uomini di buona volontà non siamo solo i cattolici. I quali, in questa prospettiva, possiamo comprendere più pienamente il martirio di don Puglisi e, di conseguenza, dare alla nostra vita un assetto di quotidiana adesione ai valori che costituiscono la vera, concreta opposizione alla mentalità mafiosa, a quella zizzania che non si manifesta nei delitti clamorosi, ma penetra e si insinua nelle relazioni tra le persone, nei rapporti con le istituzioni divenendo costante rischio di scivolamento nella collusione e nella corruzione. Noi per primi dobbiamo evitare quanto paventato da Corrado Alvaro: “la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile.” Soverato, 7 settembre 2016 Gerardo Pagano (“L’enigma della zizzania”, di Mons. Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro- Squillace, è stato presentato il 7 settembre 2016 nella chiesa dell’Addolorata in Soverato Superiore dal preside prof. Gerardo Pagano e dal magistrato dott. Nicola Durante. Un sentito ringraziamento anche da queste colonne all’amico professore Gerardo Pagano per l’interessante contributo che volentieri porgiamo ai nostri lettori. – Ndd) |