Data: 31/12/2016 - Anno: 22 - Numero: 3 - Pagina: 22 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Giuseppe Parretta (Altri articoli dell'autore)
Non ricordo precisamente quando avvenne, né il giorno, né il mese, né l’anno. Forse era scoppiata o stava per scoppiare la seconda guerra mondiale. Non ricordo d’aver avuto giocattoli interessanti, con i quali un bambino di pochi anni potesse trastullarsi, ad eccezione di uno che il mio compare di Cresima mi aveva regalato in occasione del mio quinto o sesto compleanno. Era un giocattolo in ferro: rappresentava un bambino vestito da balilla. Indossava un grembiulino nero con un colletto bianco come se fosse uno scolaro. Mi piaceva tanto perché lo potevo spogliare e rivestire e poi aveva le gambe e le braccia snodabili che mi permettevano di metterlo in diverse posizioni. Inoltre, toccando un pulsante, alzava la mano e faceva il saluto fascista. Il sole aveva da poco cominciato ad illuminare il balcone di casa esposto a Nord Ovest, quando, una domenica del mese di ottobre, mio padre mi disse di prendere il mio piccolo balilla. Io pensai che volesse il mio giocattolo per vedere se lo tenessi con cura. Invece, si mise a spogliarlo dicendo: vedi, questo giocattolo comincia ad essere rischioso per noi. Bisogna disfarsene. Io ascoltavo senza capire ciò che diceva; ma mia madre che era sul balcone con noi capì subito quello che voleva dire ed intervenne dicendo: ma è il giocattolo di un bambino, non possono pensare per questo che noi siamo fasc….. e non finì la parola perché mio padre riprese a parlare. “Sapete che facciamo disse- nascondiamo il vestitino in uno di questi buchi di andito ed il giocattolo in un altro e con un po’ di calce li muriamo”. “Questa è la cosa più sbagliata che tu possa fare -interloquì mia madre- perché se occhi indiscreti venissero qua con lo scopo preciso di curiosare, potrebbero pensare che dentro abbiamo nascosto qualcosa di compromettente. Farebbero venire qualcuno a controllare e ci troveremmo davvero nei guai, sia che siano fascisti, sia che siano comunisti. I fascisti penserebbero che disprezziamo i loro simboli perché siamo antifascisti, quindi persone da punire; i comunisti penserebbero che abbiamo nascosto il piccolo Balilla per non far capire che siamo fascisti, quindi persone da punire”. Io continuavo a non capire. Mio padre divenne pensieroso: guardò mia madre, diede a me un bacio sulla fronte, afferrò il mio caro giocattolo e lo lanciò con forza al di là della strada che separava la casa da un giardino, in un impenetrabile roveto. A quel gesto inusuale, per me allora incomprensibile, corsi dentro casa, mi buttai sul pavimento e piansi. |