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UN’ALBA DA MIA MADRE Dal balcone della mia casa, 17 marzo attorno alle sei Vito Teti
Autore:     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/04/2021 - Anno: 27 - Numero: 1 - Pagina: 8 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

GASPARE TORALDO E LEPANTO LA MADONNA DELLA VITTORIA

Letture: 753               AUTORE: Mario Saccà (Altri articoli dell'autore)        

La Modonna della Vittoria ricevette il nome da Papa Pio V dopo che la flotta cristiana vinse
quella turca nella battaglia di Lepanto, combattuta davanti al golfo omonimo il 7 Ottobre 1571.
Il quadro che è a motivo di questo ricordo si trova nella sacrestia della Chiesa del Rosario di
Catanzaro e sarebbe stato un ex voto che il Barone di Badolato Gaspare Toraldo fece dipingere
per celebrare sia la vittoria delle navi cristiane che la sua partecipazione all’epico scontro navale,
il più grande mai avvenuto nell’era della navigazione mista a remi e a vela.
In questo 2021 ricorre il 450° anno di quella storia ed è giusto farlo presente ai contemporanei
anche orientando l’attenzione verso il dipinto qui riprodotto che ci riporta a quella giornata
epica nella quale le gesta dei Calabresi ebbero parte rilevante in entrambi gli schieramenti.
Nel 1983 ebbi la ventura di far parte della Giunta Comunale di Catanzaro con delega alla
cultura, e il mai abbastanza compianto Cesare Mulè, scomparso da meno di due mesi, mi
propose il restauro del quadro ormai annerito dal tempo. Cesare oltre ad essere stato Sindaco
è stato un autore importante nella ricostruzione della storia di Catanzaro, come attestano i
suoi libri frutto di ricerche approfondite e di letture di testi e documenti sconosciuti ai più. Si
era già occupato dei Calabresi presenti a Lepanto, conosceva il ruolo del Barone Toraldo e la
storia del suo ex voto consegnato alla chiesa dei Domenicani di Catanzaro, appartenenti allo
stesso ordine di Papa Pio V, l’autore della Santa Alleanza delle nazioni che avevano sconfitto
i Turchi.
Con il suo grande stile di gentiluomo mi raccontò l’intera storia che si concluse con un sopralluogo
nella Chiesa del Rosario dove, nella seconda cappella a sinistra, era collocata l’immagine
della Madonna della Vittoria. In realtà il tempo aveva prodotto i suoi effetti rendendo
invisibili molti dei particolari che oggi si mostrano: i volti di Papa Pio V, di Don Giovanni
d’Austria, comandante dell’armata cristiana, di Alì Pascià, un genovese a capo di quella turca
e di Occhialì, comandante dell’ala sinistra della flotta musulmana, nato a Isola Capo Rizzuto. Fu lui il solo a salvarsi dalla sconfitta
riportando a Costantinopoli buona parte
della galere sottoposte al suo comando,
cosa che gli valse la nomina ad ammiraglio
della flotta imperiale (ritratto sotto
quello del Papa).
Decidemmo a suo tempo per il restauro
affidato ad un tecnico romano, del
quale non ricordo il nome, la cui opera
consentì di riportare il quadro alla sua
origine svelando i volti che ho descritto.
Gli sconfitti sono sotto i piedi della Vergine
e il senso del dipinto esprime l’intero
spirito della vittoria.
Ma i Toraldo chi sono? Ecco alcuni
cenni storici tratti dal sito dei Nobili Napoletani.
La famiglia Toraldo giunse in Italia
dalla Germania al seguito degli Svevi: il
nome Toraldo deriva dal Tedesco “tor”
ovvero grande porta e “alte” ovvero vecchio,
che sta per guardiano. Fu ascritta al
Patriziato napoletano del Seggio di Nido,
e i suoi componenti ricoprirono alte cari che in campo militare, civile ed ecclesiastico. Dalle scritture, i primi cavalieri risalgono all’inizio
del XIII secolo con Filippo, Landolfo e Giovanni; Niccolò fu il primo Signore di Toraldo
nell’anno 1324.
Durante il regno di re Ladislao di Durazzo, la ricchezza, potenza e prestigio del casato aumentò
con Antonio e Angelo, il primo nominato nel 1388 Luogotenente del Grand’Ammirante
e il secondo nominato nel 1397 Luogotenente del Gran Camerlengo.
Luigi, per aver fedelmente servito con le armi re Ferdinando I d’Aragona, ricoprì la carica
di Marescalco del Regno ed ottenne vari casali tra cui Cerinola (CE) e Casola (NA).
Giovanni di Toraldo nel 1494, in rappresentanza dei nobili del sedile di Nido, accolse re
Alfonso II d’Aragona al suo ingresso in città e prestò giuramento di fedeltà.
Gaspare fu il primo marchese di Polignano (BA) e, per la sua abilità militare e per le gesta
eroiche compiute col grado di capitano, ebbe nel 1501 in dono da re Federico I d’Aragona,
vasti possedimenti in terra di Capitanata.
Francesco fu il primo barone di Badolato (CZ) e ardimentoso capitano di marina nella
guerra contro i Turchi.
Fece parte della famiglia anche Don Vincenzo Toraldo, secondo marchese di Polignano,
che fu assassinato per aver sfidato a duello Don Ferrante Sanseverino, principe di Salerno.
Gaspero Toraldo fu il 4° Barone di Badolato e Signore di Ischia. In occasione della Battaglia
di Lepanto, nella quale il 7 Ottobre 1571 la Lega Santa sconfisse la flotta turca, egli
adunò duemila uomini in soli quindici giorni e vi prese parte con i gradi di colonnello; nel
1574 fu nominato Giustiziere della Capitanata. GASPARE TORALDO aveva dei precedenti contro i pirati turchi. Li racconta Gustavo
Valente, storico calabrese nativo di Celico (CS) nel suo libro “Calabria calabresi e turcheschi
nei secoli della pirateria (1400-1800)”. Alle pagg. 174-176 si legge che nella primavera del
1566 i Turchi fanno una comparsa nella zona di Capo Stilo, ove catturano alcuni uomini e
si dicono pronti a rilasciarli mediante il pagamento di un riscatto. Tra costoro è un uomo il
cui figlio, scampato fortunosamente alla cattura, cerca in ogni modo di raccogliere la somma
necessaria. Va perciò dal barone di Badolato, Gaspare Toraldo, che si trova in quei paraggi
impegnato in una partita di caccia. Si tratta di un episodio come tanti e tanti altri. E tuttavia
l’importanza di questo è diversa e assai notevole. Poiché proprio da questo giorno, da quello
che seguirà all’appello del giovane, si inizia un rapporto di costante lotta che il giovane Toraldo
continuerà strenuamente contro il Turco, al punto di divenire di quella lotta la personalità
più eminente in Calabria. E perciò conviene fare la conoscenza, ancor prima di sentire cosa in
quel giorno successe.
Nato nel 1540, appassionato di lettere, non tardò a guadagnarsi buon nome, contemporaneamente
a quello altrettanto egregio pur acquistato negli altri campi delle attività del tempo. Sì
che uno scrittore poté dire di lui “Fra i soldati è soldato, fra i poeti è poeta, fra i filosofi è filosofo,
fra i signori è signore e tratta ogni cosa con molta destrezza e molta sottilità d’ingegno”
(da Gaspare Toraldo - Discorsi cavallereschi dell’Illustre signore - in un dialogo compresi
ne’ quali copiosamente si ragiona di tutti quegli eserciti così nel corpo etc). Queste qualità
gli valsero la considerazione de’ governanti, in modo che a Napoli, in occasione dei tumulti
che portarono alla morte di Gianvincenzo Starace, il Viceré dovette ricorrere a lui per calmare
l’animo acceso dei Napoletani. Fu governatore di Capitanata e del Contado del Molise. Della
sua famiglia fu ultimo signore di Badolato.
Quando il barone ha ascoltato tutta la storia che il giovane gli è andato raccontando, l’assicura
del suo aiuto, a condizione, però, che egli desse ad intendere al Rais che alla marina
di Badolato c’era occasione e facilità di fare bel bottino d’un vascello sotto carico d’olio. Il
pescatore, che aveva tutto compreso, gli garantì che si sarebbe adoperato per la riuscita del
progetto e corse alla marina. Poche ore dopo il giovane, col padre riscattato, raccontavano al
barone di Badolato che il Rais aveva creduto alla storia imbastitagli e che ne era rimasto tanto
contento che aveva colmato di doni l’informatore e l’aveva assicurato che alla sera dopo la
galeotta si sarebbe trovata al punto indicato per fare il colpo. Radunati in fretta circa quaranta
uomini, all’ora convenuta si presentarono al posto stabilito strani tipi di campagnoli ed artigiani
buffamente armati chi di archibugio, chi di spada e chi soltanto d’arma in asta, ed assieme,
silenziosi e guardinghi come congiurati, s’avviarono al lido.
Accostatasi alla riva la galeotta, molti uomini ne discesero. Quando a terra si furono divisi,
il giovane Toraldo guidò l’assalto. La zuffa che ne seguì, a terra e sulla galeotta, si concluse
nella maniera più soddisfacente per i Calabresi. Contro qualche ferito potevano contare ventidue
morti turcheschi, oltre trenta tratti prigionieri, tra cui lo stesso Rais Zerbinassan.
I CALABRESI E LA BATTAGLIA DI LEPANTO
Furono circa 2000 posti al comando del barone di Badolato Gaspare Toraldo, che ebbe il
grado di colonnello, “Belissima gente con molti gentilhomini honorati” riconobbe il veneziano
Sebastiano Venier comandante la flotta. (A. Barbero - Lepanto).
Lungo la rotta le soste dell’armata navale lungo le coste della Calabria furono diverse:
a Belvedere per imbarcare mastro Cecco Pisano esperto conoscitore dei mari meridionali e
di Levante, ricevuto a bordo da don Juan d’Austria comandante in capo dell’intera armata
cristiana. Altri corregionali si distinsero nelle varie tappe concluse dalla battaglia: Gian Ferrante
Bisballe conte di Briatico che fu presente nell’incontro del Gran Consiglio della Lega a
Messina al quale parteciparono uomini delle più grandi casate: Barbarigo, Colonna, DellaRovere,
Doria, Farnese, Gonzaga, Orsini, Sforza, Spinola (Calabria Sconosciuta, n°59- 1993);
altri Calabresi furono Cesare Galluppi capitano dei corazzieri del Re di Spagna Filippo II,
Giovanni Paolo Francoperta signore di Pentedattilo, Scipione Cavallo di Amantea, Vincenzo
Marullo conte di Condojanni, Camillo Comercio da Francica fratello del medico di Filippo
II, Bernardino Coco, Giovanni Camporatore, Ferrante, Filletti. Molti altri militarono sotto le
insegne dei Sanseverino di Bisignano e del principe di Scalea. Importante fu la presenza di
religiosi fra i quali padre Arturo Lattanzio da Cropani che dopo la Messa nella cattedrale di
Messina benedì la flotta in partenza per Lepanto composta da 203 galee, 6 galeazze venete (le
corazzate del tempo), 50 fregate e un’altra trentina di navi di proprietà dei vari nobili. A bordo
erano circa 28mila soldati, 13mila marinai e 43mila rematori.
Cesare Mulè scrisse che vi fu anche la presenza probabile di Francesco De Riso, marchese
di Catanzaro.
A comando dell’ala sinistra della flotta turca vi era Gian Luigi Galeni, nato a Isola Capo
Rizzuto (dove vi è un monumento che lo ricorda) diventato musulmano, conosciuto con il nome
di Luccialì (Occhialì secondo altri). Fu un protagonista nello scontro perché riuscì a catturare
la nave dei Cavalieri di Malta e la “Fiorenza” del Papa ed a sfuggire alle navi nemiche raggiungendo
Costantinopoli con un centinaio di navi. Il sultano lo nominò grande ammiraglio al posto
di Alì Pascià (il genovese Scipione Cicala) morto nella battaglia, decapitato la sua testa venne
posta su una picca ed esposta per significare
la vittoria cristiana.
Gli studi hanno confermato che la
battaglia fu vinta dallo schieramento
organizzato da Pio V che ebbe la
maggiore potenza di fuoco dalle navi
e dalle truppe armate di archibugio.
Ma fu una vittoria senza conseguenze
perché l’anno successivo Venezia
ed i Turchi sottoscrissero la pace e
l’isola di Cipro, causa dello scontro
di Lepanto, fu concessa agli Ottomani.
Non fu, perciò, uno scontro di civiltà,
come venne propagandata fino
a non molto tempo fa, ma una ferma
volontà del Papa domenicano per
mettere insieme le forze protagoniste,
forte anche della sua formazione
culturale e del ruolo di inquisitore
svolto nel corso della sua vita. Ecco
perché il quadro che ricorda Lepanto
si trova nella chiesa dei Domenicani
di Catanzaro.


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