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UN’ALBA DA MIA MADRE Dal balcone della mia casa, 17 marzo attorno alle sei Vito Teti
Autore:     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/08/2021 - Anno: 27 - Numero: 2 - Pagina: 20 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

ERAN 300 GIOVANI E FORTI (una storia anche badolatese e dintorni)

Letture: 806               AUTORE: Cecè Serrao (Altri articoli dell'autore)        

Carlo Pisacane, rivoluzionario, patriota italiano, federalista e, forse il primo, precursore del
socialismo libertario in Italia, cioè di quel movimento politico che “considera e proclama la
libertà totale di pensiero e di azione come massimo valore della vita individuale, sociale e politica,
da salvaguardare e difendere contro tutto ciò che tende a limitarla” (definizione di “libertario”
Vocabolario Treccani). Un movimento, questo, formato da individui che credono fermamente nella
libertà individuale e nel libero associazionismo, svincolati, cioè, da pastoie di tipo religioso o
sociale, che hanno una visione ideale di una democrazia diretta “le decisioni che riguardano tutti
devono essere prese da tutti”.
Pisacane era originario, per nascita, di Napoli, e le sue idee rivoluzionarie si rafforzano, e a
volte pure divergono, con la conoscenza e la frequentazione di altri influenti patrioti del momento,
quali Carlo Cattaneo, Goffredo Mameli, Giuseppe Garibaldi e lo stesso Giuseppe Mazzini, che
conobbe in occasione dei combattimenti e la proclamazione della Repubblica Romana. Egli,
insieme ad altri 25 suoi compagni, fra i quali Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, si
imbarcò a Genova, il 25 giugno 1857, sul piroscafo “Cagliari”, facente rotta di linea per Tunisi, che
poi, per come progettato e con la complicità di due macchinisti inglesi, dirottarono per sbarcare sul
suolo del Regno delle due Sicilie, con l’intento di far sollevare la popolazione locale, contro il Re
Ferdinando II, ma non per una mera sostituzione di un potere con un altro, bensì una rivoluzionaria
ricostruzione di una società più equa e libera. Lui era conscio che il sacrificio della sua vita potesse
essere senza premio, al punto che ebbe a dichiarare: “ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo
della mia coscienza e nell’animo di questi cari e generosi amici… che se il nostro sacrificio non
apporta alcun bene all’Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero
immolarsi al suo avvenire.”
Ma le cose non andarono per come loro avevano immaginato e programmato. Anzi. Si ritrovarono
contro quelle popolazioni locali che volevano liberare dall’oppressione e dalle angherie del potere
monarchico. Difatti, il gruppo di Pisacane, sbarcato il 27 giugno 1857 nell’isola di Ponza, come prima
cosa liberò i reclusi di quel penitenziario (328), pochi per reati politici ma molti soldati in punizione,
per dirigersi, poi, verso Sapri, con oltre 300 di loro, i quali si unirono a loro seguito, non tutti come
liberatori, considerata la loro formazione politica, ma certi di poter usufruire di benefici, dopo il
sovvertimento del Re. Purtroppo, quei poveri contadini locali, avvertiti e aizzati dai gendarmi, che
ebbero notizia dello sbarco, in anticipo, convinsero e fecero credere loro, che i rivoltosi fossero ladri
e banditi, intenzionati a saccheggiare le loro case e rubare ogni loro bene. Nel territorio di Sanza,
furono circondati e massacrati sul posto, i loro corpi cremati. Nel mentre, di Pisacane si racconta
che, allorché ferito si tolse la vita, in quella occasione, sparandosi con la propria pistola, per timore
di essere catturato e per le possibili conseguenze. Cosa non vera. Difatti morì, nello scontro, il 2
luglio di quell’anno, all’età di 38 anni, insieme ad altri suoi compagni (27), in combattimento, e
nessuno di loro si tolse la vita per mano propria. Quelli che riuscirono a fuggire, furono inseguiti e
successivamente presi, per poi essere consegnati ai gendarmi. Nel gennaio 1858, furono processati e
condannati alla pena di morte, dalla Gran Corte Reale di Salerno. Alcuni di loro furono subito fucilati,
nella Certosa di Padula, e seppelliti in una fossa comune (59), gli altri graziati e tramutata la loro condanna a morte in ergastolo, anche per intercessione degli inglesi. Fra i beneficiari della grazia,
c’era Giovanni Nicotera (uno degli organizzatori della spedizione), che venne liberato con l’arrivo di
Garibaldi; lo stesso, successivamente, divenne Ministro del primo Governo dell’Italia unita.
Fra i partecipanti all’insurrezione, ci furono molti calabresi, circa 90, provenienti d’ogni
parte della Calabria, e, fra questi, due badolatesi. Un certo Beniamino Argirò, figlio di Pasquale
e di Fiorenza Caterina, sarto, di anni 22 (così si legge negli Atti processuali), nato a Badolato il
27.07.1833 – ivi deceduto il 10.12.1866, sposo di Spagnolo Domenica. L’altro era Antonio Crisafi, figlio di Francesco e di Tropeano
Teresa, calzolaio, di anni 20 (così
negli Atti processuali), a Badolato il
24.05.1932 – deceduto a Cerva, prov.
Catanzaro, il 25.10.1900: nessun
riscontro di discendenti in Cerva.
Di loro non sappiamo se fossero fra
i reclusi liberati dal penitenziario di
Ponza, di quello di Padula o per quale
altro motivo si trovassero in quei
luoghi, e poi unitisi all’iniziale gruppo rivoluzionario. Certo è che nella “Pubblicazioni dell’Archivio
di Stato di Salerno – Il Processo per la spedizione di Sapri, Inventario a cura di Leopoldo Cassese
– Salerno 1957” , fra i 383 imputati, con l’accusa del reato di “cospirazione contro la sicurezza
dello Stato... ecc.”, i due Badolatesi risultano menzionati e indicati, rispettivamente al numero 13
il primo e 51 il secondo. Ma potrebbero essercene stati altri di cui si legge nel documento, come
ad esempio Don Vincenzo Caporale (canonico) e Luigi Paparo, nomi anche d’origine badolatese.
Sicura è pure la partecipazione di altri soggetti del nostro comprensorio, o di Comuni vicini, come,
ad esempio, un certo Vincenzo Paparo fu Giuseppe, di anni 21, muratore e Puzzaro Vincenzo di
Guardavalle, Betrò o Botrò Bruno di Severo o Saverio, anni 18, macellaio di S. Andrea Apostolo
dello Jonio, Rauti Francesco di Giuseppe, di anni 19, pecoraio di Chiaravalle, Domenico Fuccinito
fu Giuseppe, di anni 21, di San Vito, Saverio Raspa di Giuseppe, di anni 30, staccatore di Gasperina,
Chiefari Gregorio di Stalettì, Rocco Signorelli fu Francesco, di anni 38, bracciante e Tommaso
Ziparo fu Rocco, di anni 24, contadino, entrambi di Girifalco. Molti furono, anche, i partecipanti
di Catanzaro e Comuni del circondario (in particolare di Maida), di Cosenza e provincia, di Reggio
Calabria e provincia e di Monteleone (ora Vibo Valentia) e provincia.
Ma noi ci soffermiamo su Beniamino Argirò e Antonio Crisafi, della cui partecipazione, a quegli
eventi abbiamo certezza (vedi pubblicazione di Mario Truglia “Paolo E. Bilotti - Una coscienza
libera - Da Vallefiorita a Salerno” ed. 2003 Grafiche Falcone - Squillace).
In particolare, per quanto riguarda il su citato Argirò, si potrebbe supporre (ma ne è quasi una
certezza), almeno per il temperamento, le azioni e la sua visione delle cose, che è lo stesso Argirò
Beniamino, di mestiere sarto, che il 21 settembre 1851, fu condannato alla pena di 6 mesi di carcere
ed una multa di 100 lire, più spese di giudizio, dall’allora Giustizia Regia del Mandamento di
Badolato. Condanna che gli fu inflitta per essersi rifiutato di pagare quattro sigari e, nel contempo,
aver colpito al volto il figlio del titolare del negozio (certo Antonio Gallelli, al momento del
fatto assente), quando questi gli venne chiesto il pagamento della merce appena consegnatagli,
minacciandolo, per giunta, con una forbice. Così ebbero a riferire alcuni testimoni “si permise di
dire ad alta voce che siamo liberi, per ciò non si doveva pagare detti sigari, perché era repubblica”
e, quindi, se ne andò senza pagare. Un tipo focoso e di idee libertarie il nostro Beniamino. Notizie,
quest’ultime, riportate a pag. 457 del libro la “Storia di Badolato - dal 1080 al 2009” - ed. 2009,
Abramo Printing & Logistics S.p.A, di Antonio Gesualdo.
Voglio chiudere, questa mia narrazione, con una citazione dello scrittore e poeta brasiliano
Paulo Coelho, che fa al caso: “Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e
di correre il rischio di vivere i propri sogni.” Cosa che sempre meno avviene oggi, in un desolante
panorama di una società poco attenta ai bisogni di crescita e cura dei suoi giovani, una società che
non dà sani esempi da seguire, se non quelli dell’apparire, che non insegna loro che l’impegno è
un valore irrinunciabile per la realizzazione delle loro stesse aspettative di vita. Per cui, ci sono
sempre più giovani privi di ambizioni e sogni, senza i quali nessuno sarà mai libero di esprimere se
stesso nel corso della propria esistenza. Il mondo è quello che è, perché noi siamo le nostre scelte…
“La storia siamo noi” recita il titolo di una canzone del cantautore italiano Francesco de Gregori.
Si suggerisce, per chi non la conoscesse o non ne ha più memoria, di leggere la poesia “La
spigolatrice di Sapri”, di Luigi Mercantini, in memoria di quell’impresa: immaginario di una
innocente lavoratrice dei campi, spigolatrice di grano, che per caso assiste allo sbarco, si invaghisce
del bel condottiero (Carlo Pisacane), li segue in combattimento e finisce per assistere impotente al
loro massacro.
Cecè Serrao
(Nel ringraziare l’amico collaboratore Cecè Serrao per l’indagine che sta portando avanti con
impegno e passione -è stato persino a Cerva, in Sila, per “cercare”-, vogliamo assicurare i lettori
che, intenzionati a “trovare” i discendenti almeno di Antonio Crisafi, di cui esiste (è esistita) UNA
SOLA famiglia in Badolato, ci stiamo attivando anche in altri luoghi, fuori Badolato e la Calabra.
Abbiamo preso concreti contatti, ad esempio con Lametia, dove vive una Crisafi, con Catanzaro, dove
vive un altro Crisafi, con Todi dove è vissuto con la sua famiglia il Professore-preside Nicola Crisafi,
con Roma, dove abbiamo rintracciato un altro Crisafi: tutti rammaricati di non sapere, e quindi non
poterci aiutare, e comunque lieti della “scoperta” e speranzosi che si perverrà all’anello parentale di
congiunzione tra loro e il patriota risorgimentale seguace di Pisacane.) – Ndd)


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