Data: 31/12/2021 - Anno: 27 - Numero: 3 - Pagina: 29 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
LA MINIERA DI MOUNT CARMEL (USA) (Storia di emigrazione) |
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AUTORE: Cecè Serrao (Altri articoli dell'autore)
LA MINIERA DI MOUNT CARMEL (USA) (Storia di emigrazione) Mentre stavo compiendo delle ricerche sulla Guerra di Libia, per redigere un articolo per questa rivista (pubblicato sul numero precedente a questo) mi sono imbattuto, casualmente, in un’altra notizia, degna di considerazione, riguardante un nostro compaesano, deceduto negli Stati Uniti d’America, che ha suscitato in me curiosità. Una notizia alquanto significativa per la storia nostrana. Si tratta di un certo Procopio Giuseppe, figlio di Antonio e di Campagna Maria, nato a Badolato il 05.02.1864, deceduto il 7 dicembre 1916, all’età di 52 anni, così come risulta da una scarna comunicazione dell’Agenzia Consolare Italiana, trascritta nei relativi registri di morte del nostro Comune. In detta comunicazione è riportato che la morte è avvenuta per un incidente minerario, a Mount Carmel, Pennsylvania - USA (città, oggi, di poco più di 5.500. abitanti), così chiamata, al tempo della sua fondazione, in onore/ricordo dell’omonimo Monte Santo in Israele. Nella stessa comunicazione viene specificato, inoltre, che la sua sepoltura è avvenuta nel cimitero della chiesa cattolica italiana di San Pietro, di quella stessa città. Non sappiamo da quale porto il nostro concittadino sia partito (Messina, Napoli o Genova), né tantomeno se sia giunto prima in Argentina per poi trasferirsi negli Stati Uniti d’America, come è avvenuto, al tempo, per tanti altri nostri connazionali. Non abbiamo notizie in tal proposito; potrebbero averle soltanto i suoi eventuali discendenti. Sappiamo, per certo, che in quei luoghi, dove è avvenuto l’episodio, le miniere non ci sono più, ma ne rimane solo qualche labile traccia, e che gli italiani ci sono ancora, più come ristoratori che altro. Non abbiamo, al momento, dati disponibili certi riguardo tragedie minerarie in America, in quegli anni, e, quindi, non si possono nemmeno fare ipotesi di quanti minatori italiani potessero aver perso la vita in circostanze simili, o in singoli eventi, come sembrerebbe possa essere avvenuto nel caso del nostro sfortunato Giuseppe. Pure perché, queste notizie, per molto tempo, sono rimaste nell’oscuro limbo, pressoché ignorate, se non fosse per il ricordo dei parenti delle stesse vittime. È solo grazie a ricerche di natura storico-giornalistica che vennero alla luce tragiche sciagure come quella avvenuta a Monongah, nel West Virginia, importante centro minerario, dove persero la vita, in un sol colpo, 361 minatori, di cui 171 italiani. Una drammatica vicenda assai più grave di quella, ben più nota, di Marcinelle (Belgio), avvenuta l’8 agosto 1956, dove le vittime furono 262, delle quali 136 italiane. Grandi tragedie, queste, rimosse, per lungo tempo, dalla memoria della storia dei lavoratori italiani all’estero. Monongh e Marcinelle, non furono le sole sciagure di lavoro, in cui molti dei nostri connazionali emigranti, hanno perso la vita, ma bisogna pure ricordare quella svizzera del 24.07.1908, durante l’esecuzione dei lavori di una galleria presso Lotschberg (116 morti, 25 italiani), del 25 marzo 1911, in un incendio al Triangle Shirtwaist Factory - New York, 123 donne, 39 italiane, a Dowson, nel New Mexico, ancora una miniera, il 22 ottobre 1913, 263 morti, di cui 146 italiani, ed un’altra ancora, sempre nello stesso distretto minerario l’8 febbraio del ’’23, con 123 morti, 20 italiani (questa città, oggi, non esiste più, è stata abbandonata definitivamente dai suoi abitanti, nel 1950, dopo la chiusura definitiva dell’ultima miniera di carbone. È rimasto solo il cimitero con le sue croci bianche, dichiarato, nel 1992, monumento nazionale d’importanza storica, od ancora, sempre in Svizzera, durante la costruzione di una diga a Mattmark, vittime 55 italiani su complessivi 102. Sono state tante le tragedie di questo genere, di cui s’è parlato poco, o per niente, ma ne potremmo/dovremmo parlare tanto ancora, per onorare la memoria di questi sfortunati lavoratori, che nell’andare a cercare fortuna altrove, lontani dalla loro terra natia, hanno trovato, invece, la morte. E non sapremo mai, né possiamo fare ipotesi, di quanti realmente sono stati questi morti, la maggior parte dei quali caduti sul lavoro e rimasti ignoti, in quanto venivano, spesso, organizzati in gruppi di lavoro, e poteva avvenire che si formassero squadre di lavoro alla giornata, non registrati nominativamente, ma a squadra di lavoro, appunto. Recitava un famoso canto degli emigrati italiani: “Sono venuto in America credendo che le strade fossero lastricate d’oro, ma quando sono arrivato ho visto che le strade non erano lastricate affatto e che toccava a me lastricarle”. Io ricordo ancora di qualcuno che raccontava la storiella di quando arrivato in Buenos Aires, appena sbarcato, vide per terra una moneta e gli diede un calcio esclamando “ancora on’arrivai!” (per i diversi badolatesi, voleva dire: ancora non sono arrivato e già mi ritrovo soldi per strada!). Per quanto riguarda, in generale, la storia nostrana sull’emigrazione, fatta anche di memorie insabbiate, e di Badolato in particolare, sarebbe bello, per noi, poter visionare le schede/registri, degli sbarchi ad Ellis Island - New York, a far data dall’Unità d’Italia (1860) fino al 1956, chiusura di questo avamposto, ed estrarre, da quegli archivi e altri, come, ad esempio canadesi, argentini, australiani, o Stati europei, di fatti consumati in quei luoghi/Uffici, dove sono transitate famiglie intere piene di speranze. Poter estrarre le loro storie, in parte, anonime, che conobbero umiliazioni, deportazioni, respingimenti a motivo di condizioni di salute, precedenti penali e orientamento politico; le storie di quelle trepidanti famiglie, che potevano avere la fortuna di ricongiungersi oppure essere definitivamente e fatalmente divise per un destino crudele. Per alcuni, si venivano a creare, a volte, situazioni di una drammaticità tale, di non sopportabilità, al punto da preferire il suicidio, piuttosto che affrontare il viaggio di ritorno verso casa. Questo avveniva, in particolar modo, negli Stati Uniti, dove è capitato di poter vedere gente che si buttava, dall’alto della nave di rimpatrio, sulle banchine portuali o in mare aperto, durante il tragitto del ritorno. Storie umane terribili! Potremmo dire che, per certi versi, queste storie succedono tuttora, ai giorni nostri, ma, questa volta, al contrario. Magari nel nostro Paese. Senza entrare nel merito del giusto o sbagliato, vero o non vero, per convinzioni/valutazioni che ogni singolo, o gruppo, può avere e fare, potremmo, comunque, dire che se oggi, nel nostro Paese, non ci fosse la presenza di stranieri, dovremmo rinunciare ad alcuni milioni di occupati, non nati in territorio nostrano, e ad una buona percentuale di ricchezza nazionale. Se tutti gli stranieri andassero via dall’Italia, in un sol giorno, ci ritroveremmo con interi settori bloccati per mancanza di manodopera. Tipo, per fare qualche esempio: l’edilizia, la manutenzione delle strade, la produzione in alcune fabbriche che chiuderebbero, così come diversi esercizi pubblici (alberghi, ristoranti, bar); ne soffrirebbe, e non poco, l’agricoltura; molti insegnanti perderebbero il posto di lavoro per mancanza di alunni; molti anziani, senza le badanti, sarebbero abbandonati a se stessi, e chissà quanti altri settori andrebbero in crisi. Quindi, prima di metterci a litigare gli uni contro gli altri, fra di noi, dovremmo chiederci chi scuote il barattolo della nostra società e continua ad andare avanti, in assoluto incognito, secondo la propria agenda, mentre noi, tutti, viviamo nel crogiuolo della distrazione. L’emigrazione fa parte della nostra storia, ci sono stati momenti in cui è stata abbondantemente la nostra storia, e certe considerazioni e ripensamenti dovremmo essere in grado, se non obbligati, a farli; dovremmo riconsiderare la nostra odierna società, quali valori coltivare nella vita quotidiana, in una prospettiva di futuro, in un mondo che cambia in modo repentino. Per fortuna, oggi, dal nostro paese non si emigra, come nei tempi passati, ma si espatria, nel senso che adesso sono i cosiddetti cervelli in fuga, quindi giovani, che partono per l’estero, in cerca di esperienze di studio o di lavoro, con il biglietto in tasca di andata e ritorno, con genitori che li aspettano in patria, terminata la loro esperienza, breve o lunga che sia. Purtroppo stiamo assistendo, pure, in questi ultimi tempi, a sempre più giovani che stabiliscono definitivamente la loro residenza altrove, dove trovano non solo un lavoro ben retribuito, ma anche condizioni di vita sociale migliori, con aspettative, per la loro futura progenie, più che soddisfacenti, per cui, è qui che realizzano, il più delle volte, il loro progetto di famiglia. Condizioni che dubitano di poter trovare col ritorno in Patria, ben sapendo cosa hanno lasciato e coscienti dell’attuale situazione socio-economica in cui versa il nostro paese Italia, grazie a una politica, sempre più, fatta da gente che si premia da sola, poco attenta ad immaginare un futuro, immediato o remoto, per i propri amministrati e, principalmente, per presenti e future generazioni. Resta forse, in questi nostri giovani, il rammarico di aver dovuto abbandonare non solo la loro meravigliosa terra natia, ma anche gli affetti familiari più cari. Affettività spezzate. Fortunatamente, oggi, il mondo è molto più connesso di ieri, grazie alle nuove tecnologie digitali e tempi dei trasporti che si sono di molto accorciati. In conclusione. Un popolo non costruisce il suo futuro con poche nascite e lo svenarsi di partenze delle nuove generazioni. |