Data: 30/09/2007 - Anno: 13 - Numero: 3 - Pagina: 9 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Gaetano Scalamandrè (Altri articoli dell'autore)
Dopo Il mio ricordo di Vito Maida (“La radice”, 30 giugno 2006, pp. 13-15) in me non è venuto meno l’interesse per il poeta soveratese, pur se sono afflitto da acciacchi dell’età (specie l’artrosi) da quando le mie condizioni fisiche si sono aggravate sì che da tanto sono per così dire agli “arresti domiciliari” (io non perdo l’abitudine all’autoironia e scherzo sui miei mali, il che un po’ mi aiuta a sopportarli e conviverci). Se vado in ospedale ad occupare un letto per qualche intervento chirurgico o per sottopormi a ricerche, ciò mi dà la possibilità di considerare quelli che soffrono più di me e di riflettere sulla stragrande maggioranza di egoisti tra gli ammalati che non vedono al di là del proprio naso e non si accorgono della piccineria della propria anima carente di umanità. Da allora ho scambiato delle lettere con Teresa, una delle due sorelle di Vito, la quale da 36 anni vive a Romano di Lombardia (BG). Fu lei a scrivermi il 2 settembre ’06 per ringraziarmi di aver ricordato suo fratello e assicurarmi che anche lui mi voleva bene e mi considerava suo amico, che soffriva nel constatare che gli amici non ci sono quando ne hai bisogno, e prendeva su di sé le loro scortesie, come quella di non degnarmi di una risposta dopo che da lui ero stato indotto a mandar loro i miei due primi libri di poesia. A lei replicai rivolgendole alcune domande per raccogliere notizie biografiche che potrebbero tornare utili ai lettori di Vito. Eccole: dopo la morte (31 luglio 1997) di sua madre, figura centrale nella vita (e nella poesia) di lui, quando partì per Roma per essere ricoverato al ‘Gemelli’ (ottobre ‘99), raccomandò alla sorella Carmela di custodire bene le sue poesie, che non andassero perse. Quanto ai versi di Caro sposo (una poesia meno che mediocre, per giunta guastata dagli ultimi quattro versi stiracchiati con le troppo facili rime alternate), dietro c’è una storia che la madre di Vito raccontava sul proprio padre. Egli viveva in America, e lei cercava d’indurlo a restarvi perché in Italia c’era la grande guerra (se no, gli scriveva, ti partono per il fronte - bella la naturalezza in tono basso dell’uso dialettale di partire come verbo transitivo -); ma lui tornò perché vinto dalla gelosia sicché morì a Caporetto e fu sepolto a Redipuglia. Quanto a Vito, frequentò la scuola media a Soverato, presso i Salesiani e l’istituto magistrale al “Principe di Piemonte” di Potenza. I paesi in cui insegnò: Perticaro, Serra San Bruno, Soverato (il prof. Squillacioti aggiunge Gagliato). L’altra cosa di cui voglio dar conto è che, chiamato in causa dal mio articolo su citato, affinché chiarisse (come avrei desiderato leggere in appendice o in una nota della sua edizione), il rimaneggiamento della raccolta lasciata da Vito sulla sua scrivania prima di partire per l’ultimo viaggio da cui non tornò vivo, il prof. Squillacioti con la modestia che lo distingue lo ha fatto inviandomi una lettera datata 19 settembre ‘06 intitolata SPINE E SPIGHE (nota sull’impostazione del libro), invece di farlo direttamente su “La radice”, quasi che io fossi un’arca di scienza letteraria, un giudice inappellabile per sensibilità critica. Della lettera riporto integralmente la nota conclusiva: Delle 73 poesie di cui si compone l’opera le uniche due datate sono Nei luoghi santi (29 giugno 1999) e Amo la notte (12 dicembre 2004 - h. 23,00). Quest’ulttima, scritta la sera precedente al giorno in cui si sarebbe ricoverato per l’ultima volta in ospedale, era scritta a mano e posta in evidenza sopra la cartella della raccolta; in calce al foglio c’era scritto: TOT. 58 poesie + ULTIMA POESIA 59. mentre sul resto informerò il lettore con parole mie, sulla scorta di quanto in essa trovo scritto. L’edizione de “La radice” conserva la suddivisione del libro in quattro sezioni fatta dall’autore, ma mutandone a volte il titolo. Così, se la I conserva quello di Spine e spighe, la II scarta il titolo originale Notizia inutile, che diventa Nel viaggio, evidentemente per poter portare da 4 (dovrebbero essere È inutile, Una domenica al Gemelli, Sala intensiva e Questa guerra) a 21 le poesie (per bilanciare questa sezione con la I?) aggiungendone ben 13 (Nel viaggio, Quando tornavo a casa, Le regole, Tutto muore, Dio dell’universo, Quest’ulivo, Nei luoghi santi, Notturno, Quando l’onda, Quale parte di me, Un conto più grande, Un pacco di parole, Le parole dei poeti) più altre 4 (Arrivi notturni, La polvere rossa, Solo ora, Quello che accade) spostate qui dalla IV sezione, Mia madre e altre poesie. Così la II sezione perde la secchezza del linguaggio e dell’impostazione, oltre che la desolazione del sentire. Invece i poeti, specie i moderni, non amano le ordinate simmetrie, come non le amavano gli architetti del profondo medioevo, ancora non disciplinati dalla riscoperta del classico e felici d’inventare linee e spazi mossi da una libera creatività. La III sezione, meno infedele al piano della raccolta, conserva il titolo Appartenenze e alle 11 poesie predisposte da Vito ne aggiunge solo 3 (Quando si consumerà la notte, L’onda, Candele bizantine) più una (L’artigiano) tolta alla IV. La IV ha il titolo Le croci invece che Mia madre e altre poesie scelto dall’autore, e alle 14 poesie da lui inserite ne aggiunge solo 2: Chiusa in casa e Francesca. Infine è da dire che l’edizione non sempre aggiunge, ma una volta sottrae, come nella I sezione, da cui elimina due poesie, Tornare al Sud e La verde memoria, che il prof. Squillacioti mi ha mandato in fotocopia del dattiloscritto del poeta. Eccole: “Mia moglie non vuole più tornare al Sud lei che non è mai uscita nelle nebbie e sui treni non ha mai visto alzarsi nessuno al suo fianco, lei che parla dei figli, i figli nella stessa via che non vengono a trovarci più La prima lì per lì ha lasciato perplesso anche me e mi ha indotto a condividere l’esclusione fatta dall’editore, visto che Maida ci ha abituato alla sua poesia quasi sempre autobiografica, e come si sa egli non aveva moglie. Ho pensato d’interpellare sua sorella Teresa, che così mi ha risposto il 13 giugno 2007: Sì, è proprio come ha pensato lei, non è una storia della nostra famiglia, ma su tutte le famiglie emigrate. Io ne parlavo spesso con lui, ed era amareggiato “sul trapianto”, diceva, di questi genitori che venivano portati al nord, per vivere da soli, aspettando la morte come una liberazione. Vicende così le ho viste anch’io, con i genitori di tante amiche di qui, e la poesia Tornare al Sud si ripete purtroppo. Capisco la sua perplessità, tocca anche me, è un risvegliarsi di ricordi che ormai custodisco nel cuore gelosamente come un dolce richiamo alle mie origini. Dice bene di Squillacioti, è vero, è una grande e cara persona, l’ho conosciuto anch’io, per la sua bontà di assumersi una grossa responsabilità, quasi obbligato a fare il libro. Come ben sa, mio fratello ha lasciato una parte delle sue poesie sulla scrivania e farle [per fargli?] capire di pubblicare come riteneva giusto, d’accordo con noi sorelle. Certo nel libro non potevano starci tutte. E come ben sa, signor Gaetano, la poesia è difficile da far accettare, se non da chi (come lei) sa capire il valore e la sensibilità del poeta. Ho largheggiato nel riportare questo lungo squarcio della lettera (intervenuto sobriamente con qualche ritocco dell’ortografia e della punteggiatura) nella quale la sensibilità sopperisce all’ insuf- ficienza degli studi, sì che dubito che molte persone fornite di diploma di maturità o di laurea sarebbero in grado di sentire così la poesia e di esprimere le proprie idee. La seconda poesia dice con asciuttezza quanto Maida sentisse le proprie radici affondate nel suo paese natale, come il canneto della via in cui abitava. Nessun taglio è in grado di distruggerlo, né la ruspa arriva alle sue radici perché sono al di sotto della terra dove una ruspa non può scavare, in quella fonte di vita che è l’acqua. Non avendo potuto vedere coi miei occhi la raccolta lasciata da Maida, anche se so che il prof. Squillacioti, che mi onora di annoverarmi tra i suoi amici, se glielo avessi chiesto mi avrebbe mandato lui l’elenco puntuale delle poesie che la compongono, mi è piaciuto far la fatica di ricostruirla da me, consapevole di correre qualche rischio di errare. È un’altra prova di quanto amo fare qualche sacrificio lavorando attorno ad essa, anche per avere l’occasione di rileggere sempre più attentamente i suoi versi. Secondo me era come segue: I sezione: Spine e spighe Spine e spighe, La casa in alto, La saggezza, Da queste case, Gli argomenti volano, I Tirreni, A Settembre, Le nebbie del Nord, C’è sempre qualcuno, Vento di Marzo, La mia spina, Lavami gli occhi, Senza carrello, Eterno un minuto, Oggi per me, Il bambino, Io che una virgola colgo, Del pane e delle olive, Solo ora, Tornare al Sud, La verde memoria, Dicono, Amo la notte. II sezione: Notizia inutile. È inutile, Una domenica al Gemelli, Sala intensiva, Questa guerra. III sezione: Appartenenze. Appartenenze, Nuovo vaso locrese, Le donne di Bagnara, Doppie e triple lettere, Il lungomare, Questi aspri bastioni (Le Castella), I Bandiera, Luce greca, Incidi il tronco, L’acqua liberata, Le guerre delle donne, Quando si consumerà la notte. IV sezione: Mia madre e altre poesie. Le croci che la Chiesa comanda, Se ne sono andati, Caro sposo, Chiusa in casa, È domenica, Addormentata, Ora che nelle scale, C’è un giro tondo, La stagione del fico, Grammatica latina, Al ritorno, Fino a ieri, Lettera a Caterina, Maria. A queste bisogna aggiungere Arrivi notturni, La polvere rossa, Quello che accade (spostate ad arricchire la II sezione) e L’artigiano, pubblicata nella III). La mia impressione è che la raccolta messa insieme da Vito sia caratterizzata da poesie scritte tutte dopo la morte di sua madre. Il mio tentativo di ricostruirla sulla traccia delle indicazioni contenute nella lettera del 19 settembre ’06 (integrata da altro che il prof. Squillacioti mi ha detto per telefono) può dirsi riuscito se alle 57 poesie che ho elencato si aggiungono le due inviatemi in fotocopia e che ho riportato sopra. Tuttavia l’edizione de “La radice”, portando i componimenti di Maida a 73, ha il merito di aver offerto un più ricco campionario delle sue poesie, specialmente il gruppo delle sei che esprimono le riflessioni per così dire “filosofiche” del poeta, da pag. 50 a pag. 55, e tra esse il suo tormentato colloquio con Dio. Egli purtroppo non aveva un apprezzabile senso autocritico, e per questo nella sezione Appartenenze, dove esprime l’orgoglio della propria calabresità, ad esse preferì alcune movenze di rievocazioni storiche alquanto retoriche o certi non infrequenti squarci parenetici.
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