Data: 31/12/2015 - Anno: 21 - Numero: 3 - Pagina: 7 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
ANTICA PRESENZA ARABA IN CALABRIA |
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AUTORE: Ulderico Nisticò (Altri articoli dell'autore)
Cosa pensi io dei fatti del 2015, non dovrebbe essere sconosciuto a molti lettori. Mi resta chiarire che qui, in queste righe, io parlerò solo di storia, e ogni conato di attribuirmi retropensieri fallisce in partenza. Usiamo la data dell’829 come inizio delle incursioni arabe in quella che ormai si chiamava Calabria. Per un curioso caso, si estese a tutti i musulmani la parola Saraceni, da una tribù del Sinai; si usò anche dire Agareni per disprezzo, da Agar la schiava di Abramo e madre del reietto Ismaele. Occuparono stabilmente Tropea, Amantea, Santa Severina e forse Squillace. Nell’887-8, con la vittoria navale di Nasar e la spedizione di terra di Niceforo Foca, la Calabria venne riconquistata all’Impero; da allora, la minaccia agarena si manifestò in incursioni e atti di pirateria; ma la sola invasione per terra fu quella del 903 guidata da Ibrahim (Abramo), il conquistatore di Taormina, ultima difesa imperiale in Sicilia; giunse a Cosenza e vi morì. Nei decenni seguenti, l’Occidente cristiano iniziò una decisa riconquista: nel 915 una lega di Stati italiani distrusse, sotto il personale comando di papa Giovanni X, il campo arabo del Garigliano; nel secolo seguente, i Normanni unificarono il Meridione e ripresero la Sicilia; iniziava la reconquista spagnola. Questa, in gran sintesi, la storia politica e militare di una lunga guerra che, ripresa ciclicamente nei secoli, non è ancora finita! I Saraceni non erano tutti guerrieri e pirati; anzi, i più saranno stati contadini e commercianti. Si devono agli Arabi gli agrumi e altre colture specializzate. Non mancano parole arabe nel dialetto calabrese: baziariotu: mercante, da bazar, con suffisso greco; cafisu, contenitore e unità di misura; cantàru, quintale; gebbia, vasca da irrigazione, da jibiu; giuggiulena seme di sesamo, da juljulan; guallara, da adara, ernia; meschinu, da miskin, schiavo; saia, canale (da saqiya); sceccu, da sceik, vecchio: l’asino; scerrijara, litigare; tavutu, tambutu, cassa da morto. Interessanti alcuni nomi di piante e vegetali introdotti probabilmente dagli Arabi: arangara, bergamotto, suriaca, zagara. Arabe sono alcune tecniche come la senia, per attingere e distribuire l’acqua. Toponimi: Brahalla, barak Allà, volontà di Dio, o Bragalla, è il nome antico di Antifluvius, oggi Altomonte; Brafallà, o Brahallà, è una fonte di Filadelfia; Falluca, Falluja in Iraq; Maida, potrebbe essere Mahdia in Tunisia; Soriano, significa della Sorìa, Siria; Zagarise, luogo di zagare; altri toponimi, sebbene un po’ dubbi, incuriosiscono: Malandrano, in agro di Davoli: uomo nero? Moschetta, Muscettola, precedente denominazione di Montepaone Lido: piccola moschea? Anche Amaroni potrebbe significare nero. Con tutti i limiti di ogni indagine sui cognomi, ricordiamo: Alì, Arabia, Marrapodi (“piede nero”), e così Mauro, Neri, Nigro, Sgro; Morabito, da marabut, santone; Musolino, da mussola; Saccà, acquaiolo; Saladino, Saraceno; Sirianni, della Siria. Tamarru è una parola dialettale calabrese che significa plebeo, ma sempre con l’accezione di ineducato, rozzo, selvaggio, violento. Non ha a che vedere con la condizione economica e sociale, ma con lo stile di vita e comportamento ritenuti poco civili, poco eleganti. Perciò s’intende anche contadino, per la solita ingiustizia dei cittadini che se la pigliano con i campagnoli, che troviamo nel greco antico agroikòs, nell’italiano villano, nel francese paysan; e il romanesco burino da buris, manico dell’aratro. Tamarru si oppone a borgisi, il proprietario terriero che però vive in paese. Si disse che derivi dall’arabo tamar, venditore di datteri; ma perché mai un commerciante di bacche di palma dovrebbe essere rustico e maleducato? Troviamo la parola tamarrod, che significa ribelli. Giaffi significa rozzi, ed è detto di alcune aree calabresi che non nomino; Giufà è una figura buffa dei racconti popolari: entrambi, si crede, da Jafàr, nome diffuso nei paesi arabi; Sarancuni è una figura oscura e pericolosa, forse proprio da saraceno. A questo proposito, è naturale chiedersi da quali etnie provenissero questi Saraceni o Agareni, e che anche noi abbiamo chiamato Arabi, e che certo lo erano di lingua; ma dovettero essere di tutte le molte stirpi del Mediterraneo, dell’Africa e dell’Asia, purché musulmani. Filosofi, poeti, geografi, scrittori, artisti arabi vissero alla corte dei Normanni e di Federico II. Restano opere geografiche come “Il libro del re Ruggero” di Idris; ed evidenti influssi nelle architetture anche cristiane di quel periodo. L’imperatore allontanò dalla Sicilia alcuni musulmani ribelli, collocandoli in più luoghi, e soprattutto a Lucera. Fu con il loro aiuto che Manfredi divenne re di Sicilia, e Carlo d’Angiò lo insolentiva “sultano di Lucera”; e quando i baroni tradirono a Ceprano, le truppe saracene si batterono per il re a Benevento. Gli Angioini li repressero come fecero con gli ortodossi; ma ancora oggi nelle campagne di Lucera si avvertono echi di quella lontana presenza. Un paese di Saracena in Calabria produce ottimo vino. Vennero dunque degli Arabi, ma furono assimilati, e della loro diversità si ricorda solo la storia. |