Data: 31/12/2004 - Anno: 10 - Numero: 4 - Pagina: 30 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Mario Ruggero Gallelli (Altri articoli dell'autore)
A guardare le immagini televisive delle grandi imprese di Schumacher o di Valentino Rossi, ci sembra persino naturale e scontato che, sfruttando sofisticati sistemi tecnologici e piste vellutate, i due campioni possano muoversi sui circuiti a 300 km/h e oltre. La vittoria, in sfide di questo livello, oggi più di ieri, significa soldi! Tanti soldi e notorietà. Nell’affollato nostro Borgo, invece, certe gare si svolgevano per gioco, solo per competere, senza speranza di notorietà, tanto meno di soldi. Si giocava con la palla, rigorosamente di pezza, oppure “ahr!i fossèhr!i”, mentre i ragazzi più intraprendenti, amanti del rischio e del brivido, percorrevano la loro pista con la “carròzza”. “A carròzza”, appunto, costruita dagli stessi ragazzi con l’ausilio dei falegnami, che in quel tempo non mancavano, era formata da una tavola di base a lunghezza variabile, da 80 cm a un metro, larga 30/40 cm. Uno dei lati più corti, veniva appuntito: era così garantita la aerodinamicità del mezzo. All’estremità della punta, poi, veniva praticato un foro, nel quale si inseriva un pezzetto di legno: perno usato per incastrare, nella sua parte superiore, una tavola trasversale che fungeva da manubrio e, in quella inferiore, due pezzi di tavola a mo’ di forcella, dove veniva collocata una ruota di legno. Altre due ruote venivano piazzate sul lato opposto della tavola di base, inserite in un bastone di legno che fungeva da asse. Le ruote di legno, si sa, avevano poca durata e, per evitarne la precoce usura, venivano inchiodate su queste due strisce di gomma, ricavate da qualche vecchio copertone di bicicletta o camera d’aria. Terreno di incontro e scontro per i partecipanti erano le quattro corsie, prive di sponsor, che si formavano lungo la strada non ancora asfaltata, sulla scia dei mezzi e delle persone che la percorrevano ogni giorno. Le due laterali erano quelle tracciate dai piedi nudi dei nostri nonni che, recandosi a svolgere il duro lavoro dei campi, scalzi, allontanavano dal loro percorso ‘u bricciu’ (pietrisco), non certo piacevole da calpestare; le due corsie centrali, invece, si formavano al passaggio dei ‘carra’, moderno mezzo di locomozione in quegli anni, trainato dai buoi che garantivano il trasporto di grandi quantità di derrate prendendo il posto della groppa del povero ‘ciuccio’. La gara si svolgeva a cronometro, ma senza lo strumento. L’arbitro, infatti, si piazzava in prossimità dell’arrivo, da dove era ben visibile la partenza; un suo segnale faceva partire il primo partecipante, seduto sulla propria carrozza, mentre, a cadenza costante, il direttore di gara iniziava a contare. Al taglio del traguardo del primo concorrente si annotavano i secondi impiegati. E così per i successivi partecipanti. La vittoria andava, ovviamente, a chi aveva completato il percorso nel minor tempo.
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