Data: 30/09/2003 - Anno: 9 - Numero: 3 - Pagina: 18 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Mario Ruggero Gallelli (Altri articoli dell'autore)
Le sere d’estate al Borgo erano vissute nella più completa serenità. Quelli della “Ruga” (del rione) attorniati nella zona più fresca , si partecipavano i fatti, fatterelli e fattacci del giorno. Si parlava di semina e di raccolti, di fidanzamenti e di amori nascosti, di esperienze antiche e di realtà presenti. I giovani, ai quali raramente era concesso il diritto di parlare, si limitavano ad ascoltare. Era in quel contesto che veniva accumulato il bagaglio di cultura contadina e artigiana, dove noi oggi attingiamo, preziosamente, per portare alla luce una memoria storica facile a scomparire. I più piccoli, appartati in uno slargo vicino, si dedicavano al gioco. Il più praticato era “a zzopp’ann’anca” Nello slargo, appunto, veniva segnato, con un pezzetto di carbone, un rettangolo lungo metri due e largo uno, a sua volta suddiviso in otto caselle uguali: era quello il campo di gioco. Dopo aver sorteggiato l’ordine di partecipazione, il giocatore, fornito di un pezzetto di “stracia” (coccio), si piazzava nei pressi della casella sinistra del lato più piccolo del rettangolo e lanciava la “stracia” nel primo riquadro. Se questa rimaneva all’interno della casella, il giocatore, saltellando su una gamba, procedeva al recupero, continuando il percorso da casella in casella fino alla fine. Lo stesso continuava il gioco con il lancio all’interno della seconda e poi alla terza, alla quarta, ecc. Il giocatore veniva eliminato, passando la mano al secondo, se nel lanciare il pezzetto di “stracia” questa non rimaneva all’interno della casella prefissata, oppure si accavallava su una riga divisoria. Inoltre, veniva ancora escluso dal gioco se nel saltellare toccava una riga o si appoggiava con l’altro piede avendo perso l’equilibrio. Vinceva chi arrivava per primo a compiere il numero di giri prestabilito. |