Data: 31/12/2017 - Anno: 23 - Numero: 3 - Pagina: 14 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Giovanni Sorrenti (Altri articoli dell'autore)
Questo breve scritto vuole essere un omaggio all’artista Mattia Preti ritenuto, in ambito internazionale, fra i tre grandi dell’arte pittorica del ’600. Essendo nato nel 1613 e morto nel 1699 attraversa quasi tutto il XVII secolo, conoscendo quasi tutti gli artisti più importanti del suo tempo ed assorbendo le più disparate esperienze pittoriche del BAROCCO italiano ed europeo. Tra affreschi, pitture murali e tele ad olio produce più di 500 opere di cui ben 21 spedite alla sua indimenticata TAVERNA, che, oggi, si possono ammirare nel suo Museo Civico e nelle sue chiese di San Domenico e di Santa Barbara. Fin dalla più giovane età ebbe due grandi ambizioni: Elevarsi al rango nobiliare dal proprio degli “ONORATI” e dipingere per tutta la vita soggetti d’alto contenuto sacro. Riuscì a realizzarle entrambe; infatti Papa URBANO VIII lo nominò Cavaliere di Malta e dipinse, per tutta la sua esistenza, validissime opere sacre con una dedizione missionaria e con tutta l’intensità e la commozione di una preghiera! I periodi che scansionano la sua attività di pittore sono tre: Periodo Romano (1630-1653) iniziatico e di ricerca, presso il fratello Gregorio pittore in Roma. Periodo Napoletano (1653-1659) della maturità artistica creativa. Periodo Maltese (1660-1699) da me definito della piena maturità statica, poiché in esso ci sono tutti gli elementi della sua maestria, consolidati, ma mancano elementi innovativi. Per le opere ecclesiali, in Italia, praticò la tecnica dell’affresco, ma egli predilesse sempre la tecnica dell’olio su tela ed è interessante sapere che ebbe l’intuito di adoperare tale tecnica anche sulle pareti delle chiese maltesi essendo costruite con la bianca e compatta pietra locale atta ad accogliere l’impasto della suddetta con risultati migliori dell’affresco. Lo stile ed il valore della sua arte consiste nella ricchezza delle sue composizioni senza mai indulgere in particolari inutili; costruisce l’insieme dei personaggi sacri o mitologici o popolari con una originale trama di diagonali incrociate che, insieme all’uso sapiente del colore, suscitano quel senso di movimento che non viene mai meno, anche nei dipinti di figure singole. Il Preti dimostra una perfetta preparazione nel disegno, nell’anatomia e nella prospettiva varia ed originale, sia delle membra che dei volti, accentuandone l’espressione; volti e figure che spesso ci ricordano uomini e donne della sua terra natia. La pittura del Nostro si distingue per la morbidezza delle pennellate, esse tolgono rigidità al “contorno netto delle forme” senza perdere niente della perfezione del disegno; tutto ciò dà una luce interna all’incarnato partendo dall’argenteo biancore dei primi piani per sfumare, poi, nel dorato e nell’infiammato dei successivi. Egli si avvale di tutti i colori, ma col tempo la sua tavolozza si compone sempre più di poche tonalità, fino ad arrivare molto vicino ad un mono-cromatismo utile all’espressività delle figure. Nei chiaroscuri lampeggianti non c’è l’artificio del virtuoso ma una scelta poetica cosciente per sottolineare le parti più significanti del soggetto trattato. Nel corrente anno (2017) Taverna, nel suo civico museo, ha voluto allestire una splendida mostra mettendo a confronto: Mattia Preti, calabrese di Taverna, con F. Barbieri, detto il Guercino, emiliano di Cento. Entrambi ci ricordano non soltanto il loro talento, la loro maestria e la loro dedizione alla ricerca del “bello”, ma anche la loro proficua affinità artistica. Voglio chiudere con una citazione del grande scrittore GAUTIER, suo contemporaneo estimatore ed ammiratore: “Ciò che vi è di scienza, di abilità, d’ingegno e di maestria in questa colossale pittura, di cui si parla poco, è veramente inimmaginabile!” Ma la frase più commovente, a prova della sua umiltà e grandezza d’animo, pare l’abbia detta egli stesso nell’ultimo anno della sua esistenza: “Mi dispiace di morire perché sono sicuro che d’ora in poi avrei potuto fare qualche buon quadro.” |