Data: 30/04/2021 - Anno: 27 - Numero: 1 - Pagina: 46 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
Letture: 682
AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Non vogliamo soffermarci sulla parte ormai storica del verbo indignarsi: del libro Indignatevi di Stéphane Hessel pubblicato in Francia nel 2011 e poi ovunque, abbiamo già scritto nelle pagine di questo periodico. Vogliamo, invece, confermare il nostro sconcerto e la forte e ancora repressa tentazione di rassegnarsi, ormai. Ma prevale, non so sino a quando, la rabbia dinanzi allo sfascio quasi generalizzato nel quale siamo avvolti, di cui facciamo parte, e non raramente colpevoli. E non da ieri, se teniamo conto che quasi un secolo fa lo scrittore meridionalista Giustino Fortunato definiva la Calabria uno sfasciume pendulo sul mare. La rabbia, soprattutto per l’impotenza di operare per cambiare le cose, ed anche per l’inutilità del fattivo impegno dei pochi non ancora rassegnati. La rabbia! Un termine carico in genere di negatività, ma pur sempre una delle fondamentali emozioni umane, sicuramente utile e spesso necessaria sino a quando non conduce ad atti di violenza. Il grande Mahatma Gandhi insegna! Nel Bel Paese c’è troppa gente che ruba o aiuta o copre chi lo fa; troppa gente che corrompe o che si fa corrompere; troppa gente che evade; troppa gente che uccide, che delinque, che imbroglia, che inquina, che vive non rispettando la legge e le istituzioni dello Stato. E anche troppa gente -capi, commissari, consulenti, direttori, dirigenti, presidenti, ecc.- che non controlla pur avendone il dovere e la rispettiva molto spesso abbondante remunerazione. E poca gente, di contro, che possiede la maggior parte della ricchezza del Paes, per cui il divario tra ricchi e poveri è sempre in aumento. Così da Nord a Sud dello Stivale. Con alcune non marginali particolarità, tra cui la Sanità. Pur evitando, per precisa scelta, di entrare nel merito della riforma che ancora la regolamenta, ritengo non sia più sopportabile come viene gestita, da noi specialmente, in Calabria. Si continuano a spendere miliardi, di cui buona parte passa dallo Stato alle strutture private, ma spesso non si trova un posto letto nell’ospedale vicino e si viene ricoverati a distanza di decine e decine di chilometri. Spesso si è costretti a ricorrere a vie traverse. E quante volte, presentandoti con un’impegnativa, ti senti dire che “l’agenda è chiusa”, e quindi rimani senza prenotazione. E devi attendere. E devi andare altrove. E devi andare al privato convenzionato, o al privato a pagamento. Nella civile Italia, nel terzo millennio dell’era cristiana, è tollerabile che per un accertamento sanitario si debba aspettare un anno e cinque mesi? È successo tante volte, a tanta gente, in alcuni casi anche di peggio: ad un congiunto del sottoscritto, una prenotazione fatta il 5 novembre 2019 è stata fissata per l’8 aprile 2021, in un efficiente ospedale della Calabria. Ovviamente, quando si è ritenuto forse dannoso aspettare ancora, si è doverosamente provveduto alla disdetta, in tempo utile per non pagare la multa. Per non dire, poi, che in un paese civile la Sanità dovrebbe funzionare capillarmente nel territorio, per tentare di salvare più facilmente vite umane. Ed anche per risparmiare miliardi. Così la medicina preventiva, divenuta ormai una mera espressione linguistica. E che dire di ciò che è avvenuto e sta avvenendo a proposito della pandemia e della relativa vaccinazione contro il Covid 19? Meglio non scriverne! Mi fermo qui, anche perché non serve continuare a scrivere di situazioni ben note anche all’ultima persona di strada. Ma abbiamo il dovere di indignarci, o no?! Ma chi ne ha il diritto? Sinceramente, non lo so. Mi vien da pensare, anzi, che forse non ho il diritto di usare il plurale “dobbiamo”. Anche io, che scrivo di rabbia e di forte indignazione, ho il diritto di indignarmi?! È difficile giudicarsi da sé. Lo facciano altri, se ne hanno voglia e tempo. E possibilità. E capacità. |