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Data: 30/09/2005 - Anno: 11 - Numero: 3 - Pagina: 7 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

LA MAGNA GRECIA? CI FU DAVVERO

Letture: 1250               AUTORE: Ulderico Nisticò (Altri articoli dell'autore)        

I Calabresi in genere patiscono due gravissime turbe psichiche: tutti, ma proprio tutti nel senso di ciascuno hanno (abbiamo!) un nonno barone, e tutti assieme vantiamo un’antenata nobilissima e defunta da duemila e cinquecento anni: la Magna Grecia. Nessuno ne sa un accidenti, né cos’era e nemmeno dov’era, ma ne parlano in confidenza come fosse il più invadente dei vicini di casa. Però la Magna Grecia, nei giusti limiti, c’è stata.
La denominazione di Megale Hellàs, Grecia Grande, si trova per la prima volta in Polibio, lo storico greco del II secolo a. C., il quale, nel II libro, scrive de “i luoghi dell’Italia nell’allora chiamata Grande Grecia”, riferendosi alle coste da Taranto a Reggio.
Ma un secolo dopo Strabone, nel libro VI, dice che i colonizzatori Greci “crebbero a tal punto che chiamarono Grande Grecia questa terra e la Sicilia”, estendendo dunque il nome almeno al Golfo di Taranto e alla vicina isola. Plinio il Vecchio, nel V, chiama, in latino, Magna Graecia il territorio che inizia da Locri verso settentrione.
Dobbiamo dunque ritenere, sulla scorta di Polibio, che già ai tempi della Seconda guerra punica (218-2 a. C.) la denominazione era considerata storica e quasi archeologica, desueta e con una certa aura di nostalgia. E non senza motivo, se le guerre contro Dionisio con la distruzione di Reggio, Caulonia e Ipponio e forse Scillezio; e lo stato di conflitto endemico con i Lucani e i Bruzi; e in genere l’emarginazione del Meridione dai grandi traffici, avevano ridotto i Greci Italioti a tale stato che lo stesso Strabone commenta così: “Oggi, eccetto Reggio, Taranto e Napoli, è tutto imbarbarito, e lo possiedono Lucani e Bruzi e Campani...”
Un tempo, però, c’era stata, questa Grecia Grande, qualunque cosa significhi questa probabilmente troppo magnifica definizione, o riferita alla vastità di pianure rispetto alla brulla Ellade; o ad un momento di prosperità e potenza superiore a quello della città metropoli.
Del resto, perché queste avrebbero mandato quelle che impropriamente chiamiamo “colonie”, e i Greci dissero “apoikiai”, cioè trasferimento di popolazione, emigrazione, se non per necessità e perché il territorio greco era poco fertile e dunque incapace di nutrire tutti i suoi figli? Eccetto Sparta e la Laconia e Messenia, non c’è area agricola nella Grecia centromeridionale, e non restò agli Elleni che il mare. Raggiunsero l’Anatolia, poi l’Africa, l’Italia, la Spagna, la Gallia, il Mar Nero. Secoli dopo, con Alessandro Magno, si spinsero in Persia e in India.
Fu per questo che le terre oggi dette Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia, Campania apparvero loro... ma sì, quello che agli Europei dei secoli XIX e XX apparvero le Americhe, un luogo ricchissimo e capace di offrire occasioni. Sì, credo proprio che il mito antico della Magna Grecia sia stato come il mito dell’America per gli Europei... o quello dell’Italia per gli Albanesi: un luogo oggettivamente più accogliente, e, simbolicamente, capace di dar corpo al bisogno dell’altrove che è in noi quando stiamo a disagio.
Eppure ci fu davvero una grandezza. Cuma, Napoli, Taranto, Sibari, Crotone, Locri, Reggio, Siracusa furono davvero, nei secoli più antichi e preclassici, maggiori e migliori di Atene e Corinto, per non dire delle modeste Tebe e Sparta. Davvero i Sibariti, tra uno svago e l’altro, volevano gareggiare con Olimpia. Davvero Crotone schierò 120.000 uomini alla Sagra, sia pure per buscarle da Locri. E Ierone offrì per la guerra contro i Persiani mille e duecento navi, quando gli Ateniesi ne schierarono duecento a fatica: vero che vinsero lo stesso senza di lui.
E gli atleti gloriosi ad Olimpia, ricordiamoli pure: Milone, Faillo, Astilo, Dicone, Eutimo, Agesidamo, eccetera.
E anche lo splendore culturale non fu da meno, sebbene senza troppa originalità, tranne le scuole filosofiche di Elea con Parmenide e Crotone con i Pitagorici, e qui la medicina di Alcmeone; e la commedia di Epicarmo e l’ilarotragedia di Rintone. Non ci furono forse eccelsi poeti (però, Stesicoro, Ibico, Alessi, Nosside, Teocrito...), ma una cultura diffusa, cui si ispirarono i Romani.
Ecco, con buona pace dei posteri bisognosi di nonni baroni, questa in verità e senza favole fu la Magna Grecia. C’è da vantarsene, perchè no, ma, come nelle ricette, q. b., quanto basta, e con un poco di stile. Il resto, il ricordare ad ogni due passi la Magna Grecia, è consolazione, anzi fuga dai problemi con il sogno piccolo borghese di un passato illustre. Parliamone, dunque, ma non a sproposito. Tanto meno, tutte le volte che succede un fatto di sangue, la smetta il dotto locale a ricordare la presunta pace della suddetta Magna Grecia: fu uno scannarsi continuo, Crotone e Sibari contro Siri; Crotone contro Locri e Sibari, questa distrutta sotto le acque del Crati; e ho detto di Dionisio. Solo qui da noi in tutta la storia greca si sono viste città greche distrutte da altri Greci: alla faccia del pacifismo e della pace!


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