Data: 31/12/2006 - Anno: 12 - Numero: 4 - Pagina: 29 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Tota Gallelli (Altri articoli dell'autore)
I giovani in procinto di matrimonio dovevano mettere su casa, la spesa andava ripartita in parti eque tra la famiglia dello sposo e quella della sposa. Lo sposo arredava la casa con i mobili, a lui spettava l’abbigliamento della sposa per il giorno delle nozze, compresi gli indumenti intimi e quello del giorno successivo, i gioielli, meno la fede nuziale, il proprio abito, meno la camicia che spettava alla donna. La sposa portava il corredo, un baule per mettere il corredo, una cassapanca (“u casciùni”) per mettere il raccolto e altre provviste; piatti e bicchieri ecc. da riempire la “vetrina” stoviglie da cucina e casalinghi; gli oggetti più importanti erano la caldaia, il recipiente per il bucato (“a grasta da vucàta”), una piccola zappa (“u zappunèhr1u do ranu”); ed ancora la corda e la scure per andare a legna, un sacco per andare al mulino a macinare il grano, e uno più piccolo (“a ciurma”) per raccogliere le spighe durante la mietitura. Riguardo il letto: spettavano allo sposo i piedistalli di ferro, le tavole, la piena del saccone che poteva essere di paglia d’orzo o di foglie di granturco, il ripieno dei materassi di crine o di stoppa di ginestra o di lana, secondo le possibilità. La ragazza controllava se tutto le era stato dato, altrimenti era lei ad averne le conseguenze, sia per la necessità d’uso, sia perchè doveva rendere conto al marito e alla suocera che le rinfacciavano di non aver portato la giusta dote. |