Data: 31/12/2002 - Anno: 8 - Numero: 4 - Pagina: 24 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Angela Antonuccio (Altri articoli dell'autore)
Agora, Piazza, Piazzetta, Largo, Piano. Con questi nomi e forse con tanti altri, è stato denominato da sempre quello spazio riservato agli abitanti di un grande o piccolo centro di ogni nazione del mondo, per trascorrervi qualche ora del giorno in piena tranquillità. La mattina, di solito, viene frequentato da anziani che, appoggiandosi al bastone vanno novellando “...dell’età più bella”; ne approfitta anche qualche giovane mamma per far giocare il proprio bambino che si diverte ad inseguire le colombe che nidificano nei palazzi vicini e che riempiono di gioia con i loro voli incrociati l’aria primaverile… Il pomeriggio si anima, come per incanto, con la presenza di giovani di tutte le età che ivi si recano per discutere, baciarsi e abbracciarsi senza preoccuparsi degli occhi indiscreti dei loro coetanei; o da adulti che all’ombra dei folti alberi, comodamente seduti sulle panchine, discutono piacevolmente, lasciando che il tempo scorra e che giunga la sera per far ritorno nelle loro abitazioni. Nel 1937 avevo otto anni e vivevo in piccolo paese della Sicilia arroccato sulle pendici dei monti Peloritani. Il pomeriggio, dopo aver fatto i compiti scolastici, assieme ai miei compagni mi recavo nella piazzetta antistante la chiesa Madre e per questo denominata “Chianu da Matrici”. Dal punto di vista architettonico lasciava molto a desiderare, non c’erano panchine per potersi sedere, un solo Bar offriva sedie e tavolinetti di ferro che si reggevano su tre piedi, e unico ornamento era un grosso albero dai rami carichi di foglie che a primavera si copriva di fiori che emanavano un intenso profumo e alla cui ombra ci sedevamo quando eravamo stanchi di giocare. Il pavimento non era piastrellato, quindi la sera tornavamo a casa impolverati e, dopo aver lavate solo le mani, ci sedevamo a tavola per cenare; certo avremmo potuto fare una bella doccia, o anche un semplice bagno in una tinozza come usava a quei tempi, ma nel paese non c’era ancora energia elettrica né l’acquedotto che rifornisse le abitazioni dell’acqua necessaria ai bisogni familiari. Fu questa una conquista degli anni che seguirono… Giuocavamo in tanti modi, ad “acchiapparci”, a “mosca cieca”, a “nascondino” ed era quest’ultimo il gioco preferito perché per poterci nascondere ci recavamo dietro la chiesa, in un luogo chiamato “la Pietà” ove un tempo vi era una chiesetta che poi, forse per incuria, cadde in disuso; lì c’erano dei posti dove nessuno poteva trovarci, e ne approfittavamo per farci abbracciare dai nostri “innamorati”, ma erano brevi secondi perché si sentiva subito la voce di chi conduceva il gioco che ci invitava ad uscire dai nascondigli, pena un pegno da pagare. Ricordo che quando eravamo stanchi di giocare facevamo una pausa ed entravamo in chiesa; lì c’erano sempre delle piccole bare che contenevano i corpi di neonati, agghindati di nastri e trine dalle pietose mani materne; pronti per essere accompagnati al Cimitero al suono della “Gloria”. Allora, infatti, la mortalità infantile era molto alta ed era facile che molti, specie negli strati più bassi della popolazione, non raggiungessero il primo anno di età; venivano falciati dalla difterite, dalla dissenteria e da tutte quelle malattie che in seguito vennero debellate dall’uso dei vaccini e dai ritrovati della moderna Medicina. Ma la Piazza si animava durante le manifestazioni civili e religiose, soprattutto quando si celebrava la festa del Patrono che era S. Pietro. Alcuni giorni prima i venditori esponevano la loro merce sui tavoli arricchiti da stelle filanti e bandierine; c’era di tutto: giocattoli, leccornie, indumenti, scarpe e tutto ciò che nei pochi negozi del paese non si trovava. Per noi bambini era una grande gioia poter ammirare tutte quelle novità; di solito mio padre ci regalava cinque centesimi con cui acquistavamo un bel cono colmo di… granita di limone. La nonna, che per l’occasione veniva a trovarci dalla città, mi comprava una bambolina da cinquanta centesimi con la quale mi divertivo tanto vestendola con gli indumenti che lei stessa mi confezionava con ritagli di stoffa, la sera la mettevo a letto nella culla che era una scatola da scarpe e che tenevo vicino al mio lettone che dividevo con sette fratelli. Quando c’era qualche anniversario civile o politico eravamo tutti in gran fermento perché potevamo indossare le nostre divise di Piccole Italiane e intonare gli inni nazionali che esprimevano tutto il nostro amore per la Patria. Ogni domenica la banda del paese si esibiva facendoci ascoltare brani di Opere famose, ed anche tutte le canzonette allora in voga, alla fine era di rito la Tarantella Siciliana che i giovani ballavano con i tamburelli fino a sera inoltrata, riempiendo di allegria tutta la piazza che, per l’occasione, veniva addobbata con ghirlande di fiori e bandierine. Qualche volta l’Amministrazione Comunale offriva un rinfresco di aranciate e limonate per gli adulti e di caramelle per i piccoli; queste, assieme a nocciuole e noci, venivano lanciate dall’alto del campanile della chiesa e tutti noi piccoli facevamo a gara a chi ne prendeva di più. La Piazza del mio paese è stato il luogo dove ho vissuto le ore più belle della mia spensierata fanciullezza; conservo il ricordo nel mio cuore come di un dono straordinario che il destino mi ha voluto riservare prima ancora che il dolore, triste retaggio di ogni uomo, facesse parte della mia vita futura… Oggi vivo altrove. La cittadina ove trascorro l’ultima parte della mia vita è dotata di una bella Piazzetta, frequentata da molte persone. Al centro vi è un’alta colonna su cui troneggia un’immagine di Maria Ausiliatrice; ogni anno, l’otto dicembre, il Sindaco della cittadina con una gru viene issato a quell’altezza per deporre una corona di fiori composta da mani devote al collo della Madonna, ed una più piccola a quello del bambino; il battimani della gente, il suono delle campane e il volo festoso di tante colombe conferiscono alla cerimonia un sapore di mistica armonia… È dotata di eleganti panchine che di mattina vengono occupate dai nonni che, per diverse ore, godono la frescura degli alberi frondosi e ben curati. Nel pomeriggio viene assediata dai giovani che la “usano” come proprietà privata. Si riuniscono a piccoli gruppi per discutere mentre quelli che sono innamorati si isolani per baciarsi e sussurrarsi parole d’amore. Non è raro vedere qualche coppia ingenuamente avvinta su una panchina seminascosta che riporta alla mente l’immagine del mitico Laocoonte assalito dai serpenti… Ti pare di trovarti al mercatino dell’<usato>; jeans attillatissimi stinti o sfilacciati, scarpe da ginnastica dai mille colori dai lacci slegati, orecchini appesi ai lobi delle orecchie, alle labbra, al naso, e sulla lingua; anche i ragazzi vestono quasi allo stesso modo, solo che mettono una cura particolare alla foggia di quelli che un tempo erano i loro capelli; richiamando così alla memoria di chi li guarda la capigliatura di certi personaggi dei cartoni animati che all’ora di pranzo, assieme alle avventure di “Arsenio Lupin” gli adulti sono costretti a vedere, al posto del Telegiornale. Certo la misera Piazza del mio paesello non potrebbe reggere al confronto con quella del 2000 di tanti altri centri, divenuta ormai un elemento importante per la vita dei cittadini al punto da essere stata abbellita ed anche ingrandita specialmente nelle grandi città… Quella era semplice e solo un luogo di svago per grandi e piccini, di questa, oggi, invece, se ne può fare anche un uso improprio: O tempora! O mores!” così, credo, Cicerone deplorerebbe la nostra epoca, simile per molti versi alla sua! Sappiamo che pedofili, ormai dappertutto, scelgono quel luogo per adescare bambini che, ignari, si lasciano intrappolare nelle loro reti; spacciatori di droghe danno appuntamento alle loro vittime che ne restano invischiate per sempre; gente priva di scrupoli si riunisce per preparare sequestri, tendere tranelli ed organizzare ogni sorta di nefandezze. Ma la piazza resta sempre il posto ideale per svagarsi o per riposare, per discutere o criticare, per far nascere un amore o anche per vederlo morire. È il cuore che pulsa all’unisono con quello dei cittadini che ad ogni età cercano tra quegli alberi e su quelle panchine la tranquillità e la serenità che, purtroppo, ai nostri giorni, è follia sperare… |