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UN’ALBA DA MIA MADRE Dal balcone della mia casa, 17 marzo attorno alle sei Vito Teti
Autore:     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/08/2015 - Anno: 21 - Numero: 2 - Pagina: 4 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

LE SCARPE NUOVE

Letture: 307               AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)        

Aveva quattordici anni, ed era alfabetizzato, avendo regolarmente frequentato la scuola elementare
sino al conseguimento della licenza. A differenza di suoi numerosi compagni di gioco e di avventure
che non avevano mai frequentato, o avevano interrotto perché obbligati ad aiutare i genitori nei lavori
di campagna, sapeva quindi leggere, scrivere e fare bene di conto. Una capacità, quest’ultima, tra
le più importanti anche per chi aspirava a diventare artigiano senza arrunzàra1 nel proprio lavoro.
Ormai da alcuni anni sotto la guida di mastru Micu de’ Marinàri e il costante e vigile controllo
dell’esigente suo genitore, a’avviava a diventare un giovane falegname capace di affrontare tutte le
difficoltà di un mestiere che non era all’epoca tra i più facili del variegato artigianato locale.
Attento e solerte discepolo, era lui ad aprire la bottega al mattino, e il mastro lo trovava già
all’opera intento al manufatto interrotto la sera precedente; e a fine giornata era lui che lasciava per
ultimo il luogo di lavoro e ne chiudeva la porta, spesso sotto lo sguardo furtivo della primogenita del
mastro che abitava al primo piano dello stesso fabbricato. In verità, i suoi tempi lunghi in bottega
non erano dovuti soltanto alla passione per il lavoro e per il mestiere, ma anche all’interesse, sempre
più crescente ed evidente, per la bella figlia del mastro, anche lei particolarmente sensibile agli
assidui sguardi del promettente discepolo di suo padre. Il quale già da qualche tempo s’era accorto
dell’interesse reciproco tra i due, che tacitamente approvava, e ne era contento, e senza darlo a
intendere seguiva con particolare affetto e con stimoli vari la crescita del ragazzo nel mestiere e nella
formazione umana.
In tale clima, positivo e sereno, Gianni veniva maturando caratteristiche artigianali e umane che
ne facevano un ragazzo quasi modello, benvoluto e rispettato da tanti suoi coetanei che ricambiavano
disponibilità e affetto. Soddisfatto del livello raggiunto nell’apprendimento del mestiere, era
costantemente impegnato a migliorare, per essere degno di Mariacarmela, del summàstru2, della
sua famiglia e della propria, che non gli faceva mancare quasi niente, nonostante le ristrettezze della
guerra. Il conflitto, difatti, condizionava pesantemente la vita di tutti, in Italia, in Europa, in buona
parte del pianeta. Suo padre era artigiano, e con i proventi del suo lavoro riusciva ad evitare che i suoi
figli soffrissero la fame. La madre, tra le più brave sarte del paese, riusciva a confezionare finanche
alcuni capi di vestiario per i suoi cinque figli. Certo, in casa entrava poco denaro, perché era ancora
prevalente in paese l’uso del baratto, ma i prodotti dei campi che così si procuravano e quanto si poteva
acquistare con la tessera3 era sufficiente per vivere dignitosamente. Però… in un periodo storico in
cui la maggioranza della popolazione andava scalza per le campagne e per le vie del paese, il giovane
Gianni aveva un serio problema riguardante le scarpe. Non ricordava d’essere andato mai a piedi nudi,
né a scuola né alla bottega, ma non riusciva a ricordare a quando risalivano le scarpe che aveva ai piedi.
Nell’unica fotografia di quando era bambino, in piedi su una sedia, aveva le scarpe ai piedi, ma non
era certo che fossero le sue. Quella fotografia, come le altre quattro dei suoi tre fratelli e di sua sorella,
erano state scattate tutte lo stesso giorno nella grande terrazza di una comoda casa di un farmacista
amico di suo padre: tutt’e cinque i bambini erano ritratti con le scarpe ai piedi. Ma il farmacista aveva
quattro figli maschi e una femmina, tutti più o meno coetanei di Gianni e fratelli: di chi erano quelle
scarpe?! Egli non ricordava d’aver mai avuto un paio di scarpe, nuove, realizzare per lui dal calzolaio.
Si sentiva ormai un discepolo esperto e maturo, anche se sarebbero dovuti passare ancora alcuni
anni per mettersi in proprio con una bottega tutta e solo sua. Tutto andava nel verso giusto nella sua
giovane vita, ma il problema delle scarpe lo assillava. Non che fosse costretto a camminare a piedi
nudi per le strade, né lui né i suoi fratelli, ché i suoi genitori avrebbero fatto qualunque sacrificio per
evitarlo. Ma il problema delle scarpe era reale, e non solo per Gianni e i suoi congiunti, ma per la
maggioranza della popolazione, che si dedicava alla coltivazione dei campi dove si recava quasi in
processione di buon mattino e rientrava in paese dopo il calar del sole. E i più erano scalzi, donne
e bambini compresi. Gianni affrontava il suo problema e lo risolveva come poteva: da falegname
provetto recuperava qualche pezzo di legno leggero, possibilmente di pioppo, ne tagliava due fette cui
dava la forma di piede, vi inchiodava due stringhe di gomma da vecchia camera d’aria di bicicletta o
di cuoio da vecchie scarpe ormai inservibili, ed ecco pronte le calzature da lavoro che egli usava come
scarpe da lavoro, per tutti i giorni e per tutti i mesi dell’anno. Per la sera, però, e per i giorni di festa
calzava delle scarpe vere, di cuoio, che erano sempre le stesse, grazie alla disponibilità di zio Nicola,
calzolaio, che all’occorrenza interveniva inchiodando un tacco, rinforzando una soletta, rattoppando
una tomaia che s’era bucata all’altezza dell’alluce, ricevendone in cambio qualche mandalehrQu4 per
la casa o, più spesso, un listello da inchiodare per stabilizzare lo sgangherato deschetto.
Avere un paio di scarpe nuove era ormai per Gianni il più grande desiderio della sua vita. E
quando gli capitava di incontrare Mariacarmela con quelle vecchie scarpe ai piedi attivava all’istante
uno scatto dei fianchi per costringerli ad allentare i calzoni che così scendevano verso il basso e
coprivano completamente i piedi. Intanto, con i saltuari regali del mastro e di qualche raro cliente
della falegnameria, cresceva affannosamente il gruzzoletto che metteva da parte per ordinare un
giorno a zio Nicola un paio di scarpe nuove. E quando gliene parlava quello pronto: “Lo sai quanto
costano le tomaie?” Il gruzzolo non bastava mai. E il cruccio di Gianni si radicava sempre più.
Intanto la guerra volgeva al termine -così si diceva- e le condizioni di vita sarebbero migliorate per
tutti, in Italia come in ogni altra parte del mondo. A dare l’annuncio dell’armistizio firmato in Sicilia
hanno suonato a festa le campane di tutte le chiese del paese, e la gente si è riversata festante nelle
strade. Alcuni sono andati incontro ai soldati delle Forze Alleate che risalivano trionfanti lo Stivale;
altri esternavano la gioia suonando ai balconi la chitarra, C’era pure chi si recava a Mingiànu per
seguire da vicino le operazioni di smobilitazione di una batteria di Artiglieria che da poco aveva creato
un caposaldo a difesa della costa ionica. Gianni, che già altre volte aveva avuto occasione di avvicinarsi
agli Artiglieri italiani, si è precipitato a Mingiànu anche lui, come per condividere le decisioni dei
nostri militari in rotta. Nell’alberato grande piazzale c’erano camion in frenetico movimento, e soldati
che si muovevano dando l’impressione che non sapevano esattamente cosa fare. Tra loro numerosi
civili che erano venuti dal vicino paese con il solo obiettivo di alleggerire il vettovagliamento militare
di coperte, di marmitte da campo, di qualche fucile,… Gianni, venuto per caso a trovarsi nei pressi
di un camion incustodito e con la cabina aperta, ebbe anche lui un’idea fulminea: afferrò il cuscino
in pelle di un sedile e lo scaraventò giù dalla scarpata in modo che finisse nella strada sottostante.
Ripercorsi quindi velocemente la strada in senso inverso sino al suo cuscino, se lo mise sulle spalle e
per la scorciatoia del Granèli… non lo portò a casa, perché sapeva bene che non avrebbe avuto alcuno
spazio nell’incontro con il retto e intransigente suo padre. Lo nascose, invece, nel pollaio, piccola
grotta scavata nello scoglio nei pressi dell’abitazione della famiglia. A sera, col buio, lo portò a casa di
zio Nicola, con il quale prese accordi chiari, garantiti dal gruzzoletto di cui sempre disponeva.
* * *
Il giorno di Natale, quando si è recato a casa di mastro Micu per augurargli, da discepolo
affezionato, le Buone Feste, Gianni accettò di buon grado l’invito della maìstra5 di sedersi qualche
minuto per accettare un liquorino per augurio. Sedette comodamente sulla sedia, e non si sentì
obbligato a coprire con i pantaloni le scarpe. Accavallò anzi le gambe, come un uomo già fatto,
perché si notassero meglio le scarpe nuove. E fu grande la sua gioia quando s’accorse che gli occhi
di Mariacarmela brillavano di una luce nuova.



1 Realizzare un lavoro alla meno peggio, senza alcuna precisione.
2 Veniva così chiamato il mastro (forse da signor mastro).
3 Veniva detta comunemente tessera la carta annonaria delle famiglie in tempo di guerra.
4 Tipo di nottolino girante intorno ad un chiodo centrale.
5 Termine con cui veniva generalmente indicata la moglie del mastro.


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