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Autore:     Data: 31/12/2015  
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Data: 30/04/2019 - Anno: 25 - Numero: 1 - Pagina: 51 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

L’OMU GELÙSU MORA CORNÙTU

Letture: 247               AUTORE: Giovanna Durante (Altri articoli dell'autore)        

L’uomo, si sa, è spesso in preda a sentimenti negativi tra cui quello della gelosia, uno dei peggiori,
dettato dal timore di perdere persone care, erroneamente ritenute di esclusiva proprietà. È tipico il caso
di qualche marito morbosamente geloso della moglie ma anche di un padre della propria figlia o del
f
idanzato della propria ragazza, e viceversa.
Da sempre l’uomo non sopporta che la donna possa non essere d’accordo con le sue idee
maschiliste, che possa ragionare con la propria testa e decidere autonomamente come organizzare o
disorganizzare la propria vita; ed è spesso da qui che oggi si arriva alle separazioni, al facile divorzio,
alla famiglia allargata,… mentre i figli innocenti hanno la peggio, sballottati tra i due genitori che
vivono separatamente; per non parlare poi del femminicidio.
Un tempo si diceva che “l’uomo geloso muore cornuto” per asserire l’inutilità della gelosia che si
ritorce su chi la esercita; ed essere considerato cornuto, ossia tradito da una donna nei sentimenti più
intimi, per l’uomo di un tempo era qualcosa di molto vergognoso, un’offesa da lavare eventualmente col
sangue. Anche oggi quell’espressione è in uso, seppure genericamente e può tradursi in tal modo: “Più
ci tieni, peggio è.” E siccome nel nostro mondo moderno ci si unisce e ci si separa in tutta naturalezza e
i sentimenti in genere tendono ad essere sempre più fragili, il tradimento è visto in un contesto piuttosto
superficiale.
Anticamente il capofamiglia esercitava la propria autorità indiscussa, cercando di tenere sotto
controllo il più possibile le donne, in particolare le figlie, nel tentativo di difenderle da incontri
sconvenienti, ma l’astuzia e la tenacia sono di genere femminile, per cui molte donne riuscivano a
trovare spesso un sistema più o meno ingegnoso per disattendere gli ordini dell’uomo di casa e potersi
incontrare con l’innamorato. Ciò naturalmente succedeva anche alle donne sposate.
Nei nostri paesi calabresi, come altrove, quando ancora nelle abitazioni non vi era l’acqua corrente,
le donne quotidianamente dovevano recarsi alla più vicina fontana pubblica per rifornire dell’acqua
necessaria l’intera famiglia e, mentre aspettavano il loro turno per riempire gli appositi recipienti, ne
approfittavano per adocchiare furtivamente i giovanotti che si fermavano a dovuta distanza in cerca, a
loro volta, di un approccio con qualcuna di esse. Sicuramente quello era un luogo di socializzazione ma
anche di trasgressione. A questo proposito ricordiamo che a Badolato, nel rione Jusutèrra, poco distante
dalla fontana di via Siena, esiste una grossa pietra ancora oggi ricordata come “a petra d’annammuràtu”,
perché c’era sempre qualche innamorato che vi si sedeva per sbirciare.
Anche la fiumara era un luogo buono per il corteggiamento giacché le donne andavano periodicamente
per lavare la biancheria personale e di casa (lenzuola, coperte, tovaglie, ecc.). Un altro luogo d’incontro
occasionale era il piazzale della chiesa dove i giovani, vestiti a festa, sostavano per assistere al passaggio
delle ragazze che si recavano alla Messa domenicale; era là che a volte avveniva lo “scandaloso” bacio
rubato in pubblico; in questo ed in altri casi del genere, il padre ed i fratelli della giovane “violata” si
sentivano offesi in pieno nella loro dignità e, pur di riscattare il loro onore, rivendicavano un matrimonio
riparatore, con o senza l’approvazione della ragazza.
Nel caso in cui il maschio di famiglia ostacolava in tutti i modi il corteggiamento della propria
f
iglia, poteva succedere che i due innamorati concordassero di incontrarsi direttamente nella casa della
giovane, in assenza dei genitori ma non entrando dalla porta d’ingresso. Per chi non lo sapesse, le case
dei contadini per motivi vari si sviluppavano quasi tutte in altezza ed erano costituite da due o tre piani
sovrapposti, a volte quattro, comunicanti all’interno con delle scale di legno. Al piano terra vi era il
catòju usato come deposito per attrezzi da lavoro, sacchi, cesti, damigiane, giare varie e recipienti di
conserve alimentari. Nella grotta, in genere ricavata scavando la parete di fondo del locale, trovavano
posto le botti del vino. Il primo piano (mezzanino), spesso con ingresso separato che dava sbocco
sulla strada in salita, era usato come deposito delle derrate alimentari, conservate generalmente nei vari
casciùni (grosse cassapanche). Al secondo piano si trovava la stanza da letto con l’ingresso principale
su altra strada. All’ultimo piano vi era u salàru, un sottotetto coperto da tegole, dove troneggiavano
u foculàru, usato per cucinare, e u cocipàna, per cuocere il pane fatto in casa. Sul tetto non poteva
mancare una specie di lucernario, detto fanò, piccolo vuoto ricavato con un’apposita disposizione di
alcune tegole che consentivano l’uscita del fumo e l’entrata della luce ma non dell’acqua piovana; ed
era proprio dal fanò che il baldanzoso innamorato, arrampicandosi sul tetto e spostando alcune tegole,
si calava direttamente nel salàru dove era atteso dalla ragazza. Allo stesso modo se ne usciva, sicuro di
non venire scoperto, anche se i familiari fossero rientrati in casa all’improvviso. Ma “il diavolo -si dice-
fa le pentole e non i coperchi”, perciò i vicini di casa della ragazza furbetta riuscivano prima o poi a
smascherarla, facendo diventare quello che doveva essere un segreto, un vergognoso episodio di dominio
pubblico, ed assegnando al genitore geloso il titolo di cornuto, certamente non di suo gradimento.
Fatti di questo tipo, che potevano avvenire sia di notte che di giorno, non erano poi molto rari:
l’ultimo di cui si è a conoscenza si è verificato negli anni Sessanta dello scorso secolo, e si è concluso
felicemente con il matrimonio dei due innamorati che ancora oggi possono raccontare la loro storia
d’amore con comprensibile orgoglio ma anche con un pizzico di disappunto.
Giovanna Durante


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