Data: 31/03/2004 - Anno: 10 - Numero: 1 - Pagina: 7 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Franco Vallone (Altri articoli dell'autore)
Sant’Irene è il nome di un promontorio, di uno scoglio e di una località nei pressi di Briatico, in provincia di Vibo Valentia. Sant’Irene è il nome di una santa la cui devozione popolare è totalmente assente da tutta la zona del vibonese. Allora, ci chiediamo, come mai questo nome? Sant’Irene è un toponimo che troviamo per la prima volta nella cartografia calabrese nel 1500. Le cause possono essere chiarite dal fatto che, molte volte, interventi popolari hanno storpiato il vero toponimo dei luoghi. S. Irene poteva essere “Sirene” o meglio “Isola delle Sirene”. Con l’aggiunta del punto il valore del significato è stato modificato. Vi sono testimonianze toponomastiche, sempre sulle antiche carte geografiche, che avvalorano quest’ipotesi. Un riferimento possibile è quello che, ad un certo punto della storia Cristiana, è nato l’uso di “santificare” e creare santi ad ogni costo ed in ogni luogo. Questo è avvalorato dalla cultura popolare e dalla toponomastica locale: lo scoglio di S. Irene viene chiamato, ancora oggi, “scoglio di Ulisse”, “Itacense” o della “galera”. In una foto degli anni cinquanta, proprietà dello storico Domenico La Torre, è raffigurato lo scoglio di Sant’Irene ripreso dalla costa, dietro l’immagine in bianco e nero vi è, appuntato a matita, il nome Praka. Il Barrio, nel suo volume “Antichità e luoghi della Calabria”, nel 1737 scriveva: “Dopo Hipponium sorge la cittadella di Briatico, in un luogo alto, lontano dal mare un miglio; dista da Monteleone quattromila passi. Sul mare c’è l’ancoraggio detto di Nicola, e nei pressi ci sono le piccole isole di Praco, Braci, Torricella chiamate Ithacensae da Plinio. Dice infatti: “Di fronte a Hipponium ci sono piccole isole, che sono chiamate Ithacensae, osservatorio di Ulisse; ci sono anche reti per tonni”. Tommaso Aceti nelle sue note aggiunge alla frase (ci sono piccole isole) “ora affiorano piccoli scogli”. Quindi Praco, Braci e Torricella erano le Isole Ithacensae, ma che fine hanno fatto? Nella cartografia della Calabria queste isole davanti a Briatico compaiono molte volte. Sant’Irene, S. Irene o molto più verosimilmente “Sirene”, isola o scoglio delle Sirene, è un luogo antico e misterioso del territorio di Briatico dove si sovrappongono strati archeologici millenari, dai depositi d’ossidiana liparica e schegge di selce del neolitico, alle vasche per la lavorazione del pesce del periodo romano al vivarium della stessa epoca, alla torre d’avvistamento costiero del ‘500. S. Irene è una di quelle località cariche di misteri e di miti antichi, di leggende che si “leggono” nei racconti popolari dei pescatori della zona. I pescatori di S. Irene sono diversi dagli altri pescatori della costa, sono portatori d’eredità memoriche più complesse, di racconti antichi che si allacciano alla mitologia greca, sono rudi come il mare in tempesta, hanno visto e udito cose strane da tenere in segreto o da raccontare solo nelle notti speciali. Uno scoglio o Isolotto che per la cultura popolare è stato fabbricato da esseri che non potevano essere uomini né pesci, o forse erano uomini pesce, capaci di lavorare la pietra sotto il livello del mare, tessere cunicoli, inserire griglie di piombo, scavare scanalature, caverne subacquee e vasche regolari. Un racconto di un pescatore di Sant’Irene evidenzia il fatto che l’isola era la “prigione delle sirene e che tutti i cunicoli erano forniti di sbarre di ferro e piombo per non lasciare fuggire questi strani esseri marini”. In effetti, lo scoglio è denominato anche “galera” allo stesso modo di altre peschiere romane il nome galera compare frequentemente e a che cosa dovevano servire quelle celle sotto il livello del mare se non a tenere prigionieri come sirene e uomini pesce? L’isolotto Galera non prende questo nome, come comunemente si dice, dal fatto che in tempi lontani ivi fu costruita una prigione ma dal fatto che, nel 1571, un’imbarcazione della flotta cristiana, che al comando di Marcantonio Colonna si apprestava ad affrontare i Turchi in quella che fu poi chiamata la Battaglia di Lepanto, spinta da un fortunale, s’incagliò tra la costa di S. Irene e l’isolotto prospiciente. L’imbarcazione naufragata era una galera o galea detta così perché ai suoi remi erano costretti dei galeotti. Marcantonio Colonna si era fermato nelle nostre marine per andare a salutare la sorella Geroloma Colonna, moglie del Duca Camillo Pignatelli che risiedeva nel Castello di Monteleone (l’odierna Vibo Valentia). In realtà oggi sappiamo che lo scoglio di S. Irene era un vivarium romano, un’antica peschiera. In età romana i pescatori della zona, catturati dei tonni li facevano passare attraverso cunicoli che conducevano a grandi vasche dove venivano ammucchiati, in attesa di essere mattati, poco per volta, a seconda del bisogno. I cunicoli e le vasche erano scavati direttamente nel tufo dell’isolotto. La mattanza dei tonni e delle murene avveniva in un sito sulla spiaggia prospiciente Sant’Irene dove il pesce veniva anche lavorato. A S. Irene vi si trovano ancora degli interessanti residui di vasche per la preparazione del garum, una vera specialità del periodo romano preparata a base di pesce lasciato fermentare al sole. |