Data: 30/06/2022 - Anno: 28 - Numero: 1 - Pagina: 4 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
PESCE BUONO AL PRANZO DI PASQUA |
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AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Quando Minicùzza l’Arta sente dire che il mare nostro, lo Ionio, è poco pescoso sbotta subito di scatto per dire con fermezza all’interlocutore che non è vero, che è stato sempre ricco di pesci di ogni tipo, e che se oggi è così la colpa è degli uomini, che stanno distruggendo il mare, come stanno facendo con la terra, e come forse sarà pure per il nostro bellissimo cielo stellato. Se poi s’accorge che le sue parole vengono ascoltate con interesse continua a parlare di sé e della sua fanciullezza, ché di cose ne sa tante, “perché -dice quasi con orgoglio- non sono nata ieri. Eu nescììvi nto 1940, quandu cuminciàu a guerra ’e Mussolini…”. La sua famiglia, a causa dell’alluvione del 1951, si è trasferita nel nascente centro urbano di Badolato Marina nei primi anni Cinquanta. Minicùzza, quattordicenne alta, snella e forte non aveva ancora alcun mestiere, e si sentiva in colpa per l’impossibilità di dare una mano ai genitori per portare avanti la famiglia. Pertanto, senza dover andare a scuola ché la Media ancora non era nata, e senza lavoro anche perché minorenne, passava buona parte del suo tempo al vicino mare, sulla spiaggia, magari a cercare conchiglie che se ne trovavano molte e di vari tipi, alcune molto belle, e moltissime così piccole da inanellare per fare delle collanine da regalare alle amiche. D’estate, specialmente, era sempre in acqua, ma anche in primavera e in autunno era piacevole frequentare la spiaggia, e talvolta bagnarsi nell’acqua. mai molto fredda. Nei mesi di aprile e maggio, ma anche nel periodo detto “da’ castagnàra” (ottobre, in particolare), c’era maggiore vitalità sulla riva perché arrivavano le barche dei pescatori, non Badolatesi, ché non ce n’era neanche uno di Badolato, ma si trattava per lo più di marinai che venivano dalla zona di Roccella e da Soverato. In quelle ore si avvertiva una bella sensazione di laboriosità e di festa: qualche paranza al largo, alcune barche a riva, marinai indaffarati a scaricare il pescato, rigattieri per l’acquistarlo e tante persone “estranee, adulti speranzosi di ottenere in dono una buona manciata di alici, e fanciulli, maschi e femmine, a curiosare, a prendere di nascosto qualche pesciolino, magari caduto sulla sabbia durante il trasferimento dalle barche alle cassette per il trasporto. Tra i rigattieri, che venivano dai paesi vicini, piuttosto numerosi quando dalle condizioni climatiche si intuiva che a notte ci sarebbe stata pesca abbondante, anche qualcuno in giacca e cravatta, da sembrare proprio fuori luogo. E l’immancabile, Petru ’e l’agghju, scalzo e a gambe nude, con pantaloni rialzati, con la solita cassetta, due al massimo, da portare a Badolato Superiore per la vendita al dettaglio nella Pescheria, dove le massaie si recavano per l’acquisto portandosi dietro come recipiente un bel piatto di terracotta avvolto in una salvietta che quasi sempre profumava di bucato. Talvolta la pesca era così abbondante da obbligare i pescatori a buttarne una parte in mare, per poter tenere, secondo elementare principio di mercato, un po’ alto il prezzo di vendita. In quelle occasioni i ragazzi a frotte si lanciavano in acqua per recuperane almeno un poco da portare a casa. Nel frattempo i rigattieri s’affannavano a fare gli acquisti e a trasportar il pesce dalle barche al mezzo di trasporto, automobile, camioncino o carro che distava alcune centinaia di metri dal mare, motivo per cui si faceva spesso ricorso all’“ingaggio” di ragazzine che facevano il percorso con le cassette rigorosamente in bilico sulla testa, per un compenso forfettario di cento lire per i viaggi da fare in una mattinata. Fu così che anche Minicùzza l’Arta trovò finalmente un lavoro, saltuario ma poco pesante e in qualche modo redditizio: il suo andare alla spiaggia per non poche volte l’anno non era più motivo di svago ma di possibilità di dare una mano ai suoi genitori, in un lavoro, per giunta, in cui aveva vicine alcune tra le migliori sue amiche. Le incontrollabili onde del mare creavano spesso nell’arenile degli avvallamenti in cui l’acqua sostava, talvolta anche a lungo, formando dei laghetti, più o meno profondi, che le ragazzine dovevano attraversare, con sulla testa le cassette, perché non potevano perdere troppo tempo in un percorso più lungo di aggiramento, anche perché la voce interessata dei rigattieri intimava a fare presto. Le ragazze portatrici, essendosi accorte che quando si trovavano al centro del laghetto, con la gonna fin sopra le ginocchia, sfuggivano alla vista di chi era alla risacca a contrattare, ebbero una brillante idea, che si comunicarono le più fidate, e la realizzavano, quando e come potevano. In quel punto e in quel momento si avvicinavano il più possibile l’una all’altra, e ognuna delle due, reggendo la cassetta con la sola mano sinistra, con la destra prendeva dalla cassetta dell’altra una o due manciate, di pesce freschissimo, spesso sarde o alici, e lo metteva in fretta nella tasca realizzata apposta dalla parte interna della gonna. Così più volte, quando si era certe di non essere viste; quando più abbondante era la pesca e, di conseguenza, maggiore la confusione della gente sulla spiaggia. Un gioco per Minicùzza e le amiche. Un gioco piacevole, divertente e utile, Un gioco da non dover confessare, perché era utile per la famiglia, che, almeno a periodi, poteva mangiare pesce fresco, senza pagarlo, perché non sempre c’erano i soldi per comprarlo. Nella notte di Sabato Santo il pescato delle numerose barche è stato così abbondante da doverne buttare in mare non bel poco, e quindi grande confusione sulla spiaggia dove compravano a buon prezzo tanti rigattieri. Per Minicùzza e per le amiche quel giorno il “gioco” fu più facile e anche più “abbondante”. Le ragazze, abituate a mangiare unicamente sarde, alici e boghe (vopi), non conoscevano altri tipi di pesci, se non alcuni di cui avevano sentito parlare, la balena, lo squalo, il delfino,… Non sapevano, pertanto, che i pesci messi nella tasca della gonna quel giorno erano le squisite triglie e alcuni sùraci (pesce pettine). Al loro arrivo in casa s’avvidero, invece, i loro genitori, che le misero al fresco per mangiarle l’indomani. Il giorno di Pasqua di quell’anno per le famiglie di Carmelìna, Vittorùzza, Franca e Minicùzza fu festa speciale perché a pranzo mangiarono pasta fatta in casa con il sugo delle triglie, e poi triglie fritte in abbondanza. |