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UN’ALBA DA MIA MADRE Dal balcone della mia casa, 17 marzo attorno alle sei Vito Teti
Autore:     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/06/2022 - Anno: 28 - Numero: 1 - Pagina: 4 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

PESCE BUONO AL PRANZO DI PASQUA

Letture: 465               AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)        

Quando Minicùzza l’Arta sente dire che il mare nostro, lo Ionio, è poco pescoso sbotta subito
di scatto per dire con fermezza all’interlocutore che non è vero, che è stato sempre ricco di pesci di
ogni tipo, e che se oggi è così la colpa è degli uomini, che stanno distruggendo il mare, come stanno
facendo con la terra, e come forse sarà pure per il nostro bellissimo cielo stellato. Se poi s’accorge che
le sue parole vengono ascoltate con interesse continua a parlare di sé e della sua fanciullezza, ché di
cose ne sa tante, “perché -dice quasi con orgoglio- non sono nata ieri. Eu nescììvi nto 1940, quandu
cuminciàu a guerra ’e Mussolini…”.
La sua famiglia, a causa dell’alluvione del 1951, si è trasferita nel nascente centro urbano di
Badolato Marina nei primi anni Cinquanta. Minicùzza, quattordicenne alta, snella e forte non aveva
ancora alcun mestiere, e si sentiva in colpa per l’impossibilità di dare una mano ai genitori per portare
avanti la famiglia. Pertanto, senza dover andare a scuola ché la Media ancora non era nata, e senza
lavoro anche perché minorenne, passava buona parte del suo tempo al vicino mare, sulla spiaggia,
magari a cercare conchiglie che se ne trovavano molte e di vari tipi, alcune molto belle, e moltissime
così piccole da inanellare per fare delle collanine da regalare alle amiche. D’estate, specialmente, era
sempre in acqua, ma anche in primavera e in autunno era piacevole frequentare la spiaggia, e talvolta
bagnarsi nell’acqua. mai molto fredda.
Nei mesi di aprile e maggio, ma anche nel periodo detto “da’ castagnàra” (ottobre, in particolare),
c’era maggiore vitalità sulla riva perché arrivavano le barche dei pescatori, non Badolatesi, ché non ce
n’era neanche uno di Badolato, ma si trattava per lo più di marinai che venivano dalla zona di Roccella
e da Soverato. In quelle ore si avvertiva una bella sensazione di laboriosità e di festa: qualche paranza
al largo, alcune barche a riva, marinai indaffarati a scaricare il pescato, rigattieri per l’acquistarlo e
tante persone “estranee, adulti speranzosi di ottenere in dono una buona manciata di alici, e fanciulli,
maschi e femmine, a curiosare, a prendere di nascosto qualche pesciolino, magari caduto sulla sabbia
durante il trasferimento dalle barche alle cassette per il trasporto. Tra i rigattieri, che venivano dai
paesi vicini, piuttosto numerosi quando dalle condizioni climatiche si intuiva che a notte ci sarebbe
stata pesca abbondante, anche qualcuno in giacca e cravatta, da sembrare proprio fuori luogo. E
l’immancabile, Petru ’e l’agghju, scalzo e a gambe nude, con pantaloni rialzati, con la solita cassetta,
due al massimo, da portare a Badolato Superiore per la vendita al dettaglio nella Pescheria, dove le
massaie si recavano per l’acquisto portandosi dietro come recipiente un bel piatto di terracotta avvolto
in una salvietta che quasi sempre profumava di bucato.
Talvolta la pesca era così abbondante da obbligare i pescatori a buttarne una parte in mare, per
poter tenere, secondo elementare principio di mercato, un po’ alto il prezzo di vendita. In quelle
occasioni i ragazzi a frotte si lanciavano in acqua per recuperane almeno un poco da portare a casa.
Nel frattempo i rigattieri s’affannavano a fare gli acquisti e a trasportar il pesce dalle barche al mezzo
di trasporto, automobile, camioncino o carro che distava alcune centinaia di metri dal mare, motivo
per cui si faceva spesso ricorso all’“ingaggio” di ragazzine che facevano il percorso con le cassette
rigorosamente in bilico sulla testa, per un compenso forfettario di cento lire per i viaggi da fare in una
mattinata. Fu così che anche Minicùzza l’Arta trovò finalmente un lavoro, saltuario ma poco pesante e
in qualche modo redditizio: il suo andare alla spiaggia per non poche volte l’anno non era più motivo
di svago ma di possibilità di dare una mano ai suoi genitori, in un lavoro, per giunta, in cui aveva
vicine alcune tra le migliori sue amiche.
Le incontrollabili onde del mare creavano spesso nell’arenile degli avvallamenti in cui l’acqua
sostava, talvolta anche a lungo, formando dei laghetti, più o meno profondi, che le ragazzine dovevano
attraversare, con sulla testa le cassette, perché non potevano perdere troppo tempo in un percorso più
lungo di aggiramento, anche perché la voce interessata dei rigattieri intimava a fare presto. Le ragazze
portatrici, essendosi accorte che quando si trovavano al centro del laghetto, con la gonna fin sopra
le ginocchia, sfuggivano alla vista di chi era alla risacca a contrattare, ebbero una brillante idea, che
si comunicarono le più fidate, e la realizzavano, quando e come potevano. In quel punto e in quel
momento si avvicinavano il più possibile l’una all’altra, e ognuna delle due, reggendo la cassetta con
la sola mano sinistra, con la destra prendeva dalla cassetta dell’altra una o due manciate, di pesce
freschissimo, spesso sarde o alici, e lo metteva in fretta nella tasca realizzata apposta dalla parte
interna della gonna. Così più volte, quando si era certe di non essere viste; quando più abbondante era
la pesca e, di conseguenza, maggiore la confusione della gente sulla spiaggia. Un gioco per Minicùzza
e le amiche. Un gioco piacevole, divertente e utile, Un gioco da non dover confessare, perché era
utile per la famiglia, che, almeno a periodi, poteva mangiare pesce fresco, senza pagarlo, perché non
sempre c’erano i soldi per comprarlo.
Nella notte di Sabato Santo il pescato delle numerose barche è stato così abbondante da doverne
buttare in mare non bel poco, e quindi grande confusione sulla spiaggia dove compravano a buon
prezzo tanti rigattieri. Per Minicùzza e per le amiche quel giorno il “gioco” fu più facile e anche
più “abbondante”. Le ragazze, abituate a mangiare unicamente sarde, alici e boghe (vopi), non
conoscevano altri tipi di pesci, se non alcuni di cui avevano sentito parlare, la balena, lo squalo, il
delfino,… Non sapevano, pertanto, che i pesci messi nella tasca della gonna quel giorno erano le
squisite triglie e alcuni sùraci (pesce pettine). Al loro arrivo in casa s’avvidero, invece, i loro genitori,
che le misero al fresco per mangiarle l’indomani.
Il giorno di Pasqua di quell’anno per le famiglie di Carmelìna, Vittorùzza, Franca e Minicùzza
fu festa speciale perché a pranzo mangiarono pasta fatta in casa con il sugo delle triglie, e poi triglie
fritte in abbondanza.


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