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Data: 31/12/2004 - Anno: 10 - Numero: 4 - Pagina: 4 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

PROFANATORI

Letture: 1119               AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)        

Donna Margherita dei Marchesi di Sant’Elmo se l’era portata via la tisi, a Napoli, dove il padre, medico, sperava di restituirle la freschezza dei suoi vent’anni con il sorriso e la gioia di vivere.
Il corteo funebre, disposto e coordinato dallo stesso Marchese, don Domenico, si componeva di trenta carrozze trainate da cavalli coperti da gualdrappe a bande bianche e nere, a significare la purezza della fanciulla e il buio della notte dove la morte l’aveva portata.
Arrivato a Mercato il mesto convoglio sostò un’intera notte. L’indomani all’alba riprese il cammino imboccando la consolare via Popilia, che percorse con una sola sosta nei pressi di Cosenza. Poi di nuovo in viaggio verso lo Ionio, percorrendo l’Aquilia prima verso est e poi lungo la costa, verso sud. Altra sosta notturna a Crotone ed infine l’ultima tappa, sino alla tenuta di San Leonardo nella marina di Badolato, nei pressi del mare. Erano in attesa, per rendere l’onore dovuto alla famiglia del Marchese di Sant’Elmo, il Vescovo di Squillace con al seguito alcuni nobili curiali e tutto il clero secolare di Badolato, nonché qualificate rappresentanze dei quattro conventi del luogo. Accanto al Vescovo spiccava, per fisico e nobiltà, il Principe di Satriano. Presenti anche il Marchese Di Francia e i Baroni Scoppa e Gregorace. In rappresentanza dell’Università erano scesi alla marina il Sindaco dei Nobili, il Sindaco del Popolo e alcuni Eletti, ed insieme a loro numerosi giudici e notai. Tutt’intorno uno stuolo di servi, salariati, coloni e braccianti, tutti a capo chino, e non pochi con gli occhi velati dal pianto.
Deposta la bara sul catafalco, all’aperto, nel silenzio generale interrotto di tanto in tanto da qualche singhiozzo, il Vescovo di Squillace e i Guardiani dei conventi celebrarono il solenne Rito Eucaristico in suffragio dell’anima pura della Marchesina Donna Margherita che, però, non poteva che essere ormai in Paradiso, in compagnia della madre che l’aveva da poco preceduta. Poi l’ultimo tratto del doloroso viaggio, verso il paese, in collina, e quindi la tumulazione nella grande chiesa dei Domenicani, che vegliarono in preghiera sul freddo pavimento di marmo sino alla mezzanotte. Spenta l’ultima candela il buio più nero coprì la tomba, la chiesa, il convento e il paese tutto, sino all’Immacolata.

*****
Mancava ancora parecchio tempo all’ora della Messa Cappèhr!a quando due ombre spinsero furtivamente il pesante portone di San Domenico ed entrarono non visti all’interno della chiesa. Orientati unicamente dalla debole luce della lampada ad olio accanto al Sacramento, si diressero alla tomba della Marchesina di Sant’Elmo e rimossero la pesante lastra di marmo con una grossa sbarra di ferro che avevano al seguito. Non fu difficile per i due profanatori calarsi nel sepolcro, dove, acceso un mozzicone di candela, cominciarono a rovistare con l’intento di trovare oggetti preziosi da portare via. Avevano appena iniziato la perlustrazione quando sentirono un rumore sospetto sopra di loro, per cui vennero fuori circospetti. Era appena entrato in chiesa, difatti, Peppi ‘e Bompascàla, che calzava un paio di scarpe nuove di zecca con le quali intendeva fare bella figura agli occhi della fidanzata quando questa sarebbe entrata in chiesa per la Messa Cappèhr!a. Era, però, arrivato in anticipo perché la madre lo aveva svegliato al rumore dei primi passi mattutini nella strada sottostante convinta che si trattasse di gente che andava a Messa. Mentre Peppi si guardava intorno, meravigliato di vedere la chiesa ancora al buio e vuota, i due, prima ancora che potessero essere visti ed eventualmente riconosciuti, gli furono addosso, lo scaraventarono nella tomba, vi posero sopra il pesante coperchio e se la diedero a gambe levate. Nella chiesa ritornò il silenzio. Sotto, nel sepolcro di Donna Margherita, Peppi ‘e Bompascàla, appena fu capace di pensare e di muoversi anche se contuso in più parti del corpo, ispezionò a tentoni ogni angolo dell’imprevista dimora; quando raggiunse la marmorea lastra di copertura cercò di sollevarla con le spalle, ma ne fu impedito da un atroce dolore a una clavicola. Ridiscese, quindi, i pochi gradini e si distese accanto alla bara della Principessa, per lenire il dolore con l’immobilità, per pensare e per pregare. Da buon cristiano cominciò a snocciolare Ave Maria, Padre nostro, Salve Regina e ogni altra preghiera che aveva imparato frequentando a Curunèhr!a, in attesa che la sua fede lo salvasse, con l’intervento di un inimmaginabile miracolo.
Passati alcuni minuti, che gli sembrarono un’eternità, fu assalito da sconforto. Alla prima lacrima… percepì un rumore in direzione del coperchio, che venne sollevato e fatto pesantemente cadere da parte: appena rischiarate da una fiammella s’intravidero le figure di due uomini pronti a scendere giù per la scala. Assalito dall’improvvisa nuova paura di essere scambiato per ladro da questi altri due malviventi, si adagiò ancor più completamente al suolo per fingersi morto. E morto, difatti, fu creduto dai due quando lo scorsero ai piedi della bara. “Guarda che belle scarpe ha questo! -disse uno dei due rivolto al compagno- Io gliele sfilo.”. Con una lamentosa voce d’oltretomba, ad occhi chiusi e senza batter ciglio, con labbra serrate da ventriloquo, Peppi ‘e Bompascàla miracolosamente interloquì: “Cu’ nci’arròbba ahr!i morti è maladìttu ann’etèrnu…!”.
Colti da sacro terrore, i due scapparono più veloci del vento, senza perdere tempo per richiudere la tomba della Principessa di Sant’Elmo.



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