Data: 30/04/2008 - Anno: 14 - Numero: 1 - Pagina: 47 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Ancora il Gallipari. Nella storia di Badolato il fiume Gallipari è sempre stato un protagonista. Abbiamo già scritto della battaglia dell’Ellèporo, il Gallipari, nel 389 a. C.; più volte ci siamo interessati di questo corso d’acqua quale elemento di notevole produzione agricola nella pianura ch’esso bagna; lo abbiamo incontrato a proposito dell’aereo nemico caduto alla sua foce il 20 agosto 1942; abbiamo registrato l’imponente cerimonia avvenuta nel suo letto, nei pressi del mare, in occasione della posa della prima pietra per la costruzione del porto nella parte finale del suo corso. Ora lo ritroviamo in un avvenimento non proprio sereno della storia “climatica” di Badolato. L’autunno, da noi, è la stagione delle piogge che a volte sono così abbondanti da provocare alluvioni. Era ancora viva nel ricordo dei Badolatesi la disastrosa alluvione dell’ottobre del 1951, quando, otto anni dopo, il cielo ha scaraventato sulla nostra zona tutta l’acqua di cui disponeva, al punto da far temere delle tragedie, in particolare sulla S.S. 106 e sulla linea ferrata. Il 29 novembre 1959 era già notte quando il badolatese Mosè Caporale, cantoniere delle Ferrovie dello Stato, abitante allora in Badolato Marina, uscì da casa per recarsi al suo lavoro ch’era quello di vigilare, in caso di cattivo tempo, sulle condizioni della tratta ferroviaria a lui assegnata, che andava dal torrente Vodà al Gallipari. Coperto da una “mpiciàta” e con in mano la lampada di dotazione per illuminarsi lungo la strada, si dirigeva verso il ponte sul Gallipari per verificarne la sicurezza o l’eventuale condizione di pericolo. Nei pressi del torrente Barone si fermò accanto a lui un’autovettura dei Carabinieri che procedeva verso Soverato con estrema lentezza perchè sulla strada c’era almeno mezzo metro d’acqua. Dentro c’era un Capitano dei Reali che si è appena sporto dal finestrino per dire al Caporale che non era proprio il caso di rischiare la pelle con quel tempo. Ma lui, deciso: “Se muoio muoio, ma devo vigilare la linea ferroviaria, com’è mio dovere.” Per raggiungere la linea ferrata attraversò la 106 alla spalla del torrente Barone i cui muretti di argine, unica via per raggiungere in quel momento i binari, erano completamente sommersi dall’acqua. Raggiunta la linea, il Nostro proseguì sino al ponte di ferro sul fiume Gallipari, e s’accorse che stava arrivando il treno diretto da Reggio Calabria: espose in fretta la luce bianca della lampada, per assicurare il macchinista che la linea era “presenziata”. Il nostro cantoniere tornò allora indietro per controllare la linea dalla parte opposta, sino al Vodà. Ci racconta che alla stazione trovò il manovale, Antonio Caminiti, costretto a salire sul tavolo del capostazione per aprire la porta d’ingresso (a est) per far defluire l’acqua che entrava nella stanza superando la finestra (ovest). Proseguì quindi sino al Vodà, e poi di nuovo indietro, nella zona nord della sua tratta dove il pericolo era maggiore. Raggiunto nuovamente il Gallipari s’accorse che alcuni metri di binari erano sospesi nel vuoto perchè la furia dell’acqua, coadiuvata da tronchi d’albero galleggianti, s’era aperto un varco spazzando via la robusta elevata base su cui poggiava la linea ferroviaria. Da nord sbucava intanto un treno cui il Caporale espose velocemente il segnale rosso per indicare grave pericolo. Il merci si fermò e ne scese il macchinista: cinque carri si erano già sganciati e rovesciati sulla scarpata. Dall’ultimo carro, rimasto sui binari, mancava il frenatore di coda. Caporale, il macchinista e il Capitano dei Carabinieri che era sopraggiunto, sotto la pioggia scrosciante e muovendosi pericolosamente con l’acqua sino alle ginocchia, si diedero alla ricerca del frenatore che videro arrivare più tardi lungo i binari: si era recato al passaggio a livello di Isca Marina per informare il personale di vigilanza dell’incidente e del pericolo. Lasciati sulla linea i carri che si erano staccati, il treno si mosse lentamente verso la stazione di Badolato. Il Caporale rimase a guardia dei carri, e l’indomani potè assicurare la polizia ferroviaria che, nonostante alcune sospette ombre notturne, i carri erano ancora integri e sigillati con dentro il loro carico. Nei giorni successivi ci fu l’inchiesta delle Ferrovie, e Mosè Caporale venne a lungo interrogato. Alla fine, per la diligenza e il coraggio dimostrati, ricevette un “premio eccezionale” in denaro. Fin qui il racconto lucido e circostanziato dell’amico che poi ha fatto carriera e oggi è in pensione. Ma noi non possiamo tacere di un articolo, a firma N. C. (leggi: Nicola Caporale), apparso in quei giorni sul Giornale d’Italia. Si legge nel titolo: “Episodi di eroismo sotto l’infuriare dell’uragano. Si tuffa in acqua dal ponte di Galliporo e trae in salvo due persone in procinto di annegare.” E nel sottotitolo: “Si tratta di un manovale di Badolato Inferiore, Mosè Caporale, il quale era presente al momento in cui gli ultimi vagoni del merci proveniente da Catanzaro si incastravano nella fanghiglia. Erano in pericolo il frenatore del treno ed un Capitano dei Carabinieri che a sua volta si era gettato in acqua nel generoso tentativo di salvataggio.” `E9 evidente la discordanza tra il resoconto orale del nostro protagonista e quanto riportato dalla stampa. Ma a noi in questa sede interessa soprattutto evidenziare il nobile esempio di coraggio e di dedizione d’un figlio di Badolato. |