Data: 31/12/2003 - Anno: 9 - Numero: 4 - Pagina: 25 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Mario Ruggero Gallelli (Altri articoli dell'autore)
Abbiamo detto in altre occasioni che alcuni giochi avevano un loro periodo naturale nel quale essere praticati, e strumenti che, sebbene sempre utilizzabili, in alcuni giorni dell’anno assumevano un significato particolare. Restavano sempre un’espressione di divertimento e di gioco, ma esprimevano soprattutto un sentimento profondo di sana tradizione popolare. Uno di questi era “u sonànti”. Veniva realizzato con un “cannòlu” (pezzo di canna) tagliato tra i due nodi di cui uno lasciato integro e rigorosamente tappato, dove si praticava successivamente un piccolo foro, e l’altro totalmente asportato. Quest’ultima estremità veniva modellata a forma concava in modo da consentire che poggiasse aderente sul labbro inferiore. In seguito con uno spiedo rovente venivano realizzati sei fori sulla parte superiore del “cannòlu”, tre dei quali sarebbero stati tappati, all’occorrenza, con le dita della mano destra e i restanti tre con quelle della mano sinistra; un settimo foro, poi, da chiudere con il pollice della mano sinistra, si trovava al di sotto in corrispondenza del taglio rettangolare praticato nella immediata vicinanza dell’imboccatura. La parte concava, aperta, veniva tappata con un pezzo di legno di castagno che lasciava, nella sua parte superiore, una feritoia da dove poter soffiare. Lo spessore del “cannòlu”, la sua lunghezza, le aperture dei fori e la maestria dei praticanti, diversificavano il suono da uno strumento all’altro. Il Natale era il periodo magico “do sonànti” e lo si usava, come si è detto, per divertirsi ma anche per intonare le tradizionali nenie al Bambinello Gesù durante la novena e i riti che rievocavano la nascita del Redentore. Nelle viuzze del Borgo, in quelle fredde serate di dicembre, echeggiavano i suoni soavi che frotte di ragazzi magistralmente facevano emettere da quel rudimentale strumento che era “u sonànti”. |