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Data: 31/12/2005 - Anno: 11 - Numero: 4 - Pagina: 44 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

“NGHìNGARI-NGHìNGARI-NGONA”

Letture: 1425               AUTORE: Mario Ruggero Gallelli (Altri articoli dell'autore)        

Credo che nessun bambino alla vista di un adulto nei momenti di riposo, seduto con le gambe a cavalcioni, non sia stato tentato di fare “cavalluccio”.
In tempi passati i nostri nonni facevano coincidere i loro rari momenti di quiete con quelli fisiologici di noi bambini: con abilità, ci ponevano a cavallo sul collo del loro piede penzolone, con le braccia conserte sul proprio ginocchio e la testa su di esse poggiata, trasformavano quel piacevole dondolio in una dolce ninna nanna.
Noi, piccoli osservatori, consapevoli del benevolo inganno, prendevamo spunto da quel rito per ricavarne un gioco.
Si designava il capogioco a cui affidare non solo la guida dello stesso ma anche il montepremi che si andava a costituire (monetine, bottoni, figurine), con il versamento di ciascun partecipante. Il concorrente per primo sorteggiato si sistemava a cavallo sul collo del piede di colui che guidava il gioco. Con gli occhi tappati dalle sue stesse mani e la testa china, aspettava la filastrocca ritmata dal maestro di cerimonia: Nghìngari nghìngari ngona, quantu corna tena la crapa? E domàna a mmenzijòrnu cu’ ti lu sona ’stu bbellu cornu? Quantu su’ cchisti?. Conseguentemente alla domanda, dal pugno chiuso del conduttore si schiudevano alcune dita di cui il concorrente doveva indovinare il numero. Se, ad esempio, erano quattro e la risposta era invece tre o altro la cantilena continuava: si quattru dicìvi tu megghju facìvi, quattru non dissi, quantu su’ cchisti?.
Si proseguiva così fino a quando il concorrente non riusciva ad azzeccare il numero esatto delle dita, sfruttando comunque le possibilità di tentativi preventivamente concordati, falliti i quali toccava al giocatore successivo tentare di indovinare, e magari di impossessarsi, dell’intero malloppo.


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