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Data: 31/08/2021 - Anno: 27 - Numero: 2 - Pagina: 33 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

’A CATTÌVA

Letture: 1118               AUTORE: Giovanna Durante (Altri articoli dell'autore)        

Quando si parla di proverbi o di modi di dire dialettali s’intende scavare nell’animo di un
popolo, nella sua psicologia e soprattutto nella sua mentalità e spesso si pongono in rilievo
ingiustizie, amarezze, dolori e torti di ogni genere. È questo il caso della vedova di un tempo
ormai a noi lontano, che, alla morte del marito, oltre a dover provvedere faticosamente alle
necessità della propria famiglia, doveva subire le critiche non sempre benevole della gente del
paese, ma anche seguire consuetudini a volte balorde e strani rituali atavici.
La vedova era moralmente costretta a non farsi vedere per le vie del paese se non per stretta
necessità; doveva vestire di nero per sempre, non poteva parlare per strada con uomini né
riceverli in casa da sola, e doveva rispettare un lungo periodo di lutto che poteva durare anche
molti anni, con conseguente lontananza da ogni forma di aggregazione sociale. Se poi al tutto
si aggiungeva l’eventuale ostilità della famiglia del defunto marito, la situazione diveniva
drammatica.
Tutto ciò e molto altro provocava nell’animo di una donna esacerbata, grida di protesta e
fremiti di ribellione repressa che quasi sempre culminavano in atteggiamenti di rassegnazione
e di muta accettazione dell’ineluttabile. La povera vedova, ormai facile bersaglio di critiche e
di giudizi poco edificanti da parte dei suoi compaesani, finiva generalmente per assumere un
atteggiamento di chiusura verso tutti e tutto, e forse per questi motivi nel dialetto calabrese
e anche siculo la vedova veniva chiamata “cattiva”, ossia prigioniera, schiava; mentre nella
lingua italiana cattiva è chi è malvagia e fa del male agli altri.
Etimologicamente il termine deriva dal latino “captivus”, ossia “prigioniero” che nella
terminologia militare del periodo romano indicava un soldato vile, arresosi al nemico e
costretto perciò a vivere in schiavitù per tutta la vita; questa era la legge di una società fondata
sulla forza delle armi!
Nel Medioevo, invece, si diceva “captivus diaboli” un uomo diabolico, prigioniero del
diavolo. Mentre il sommo Dante definì “cattivi” gli ignavi, gente vile, senza lode e senza
infamia che non ha mai preso una netta posizione in campo politico-sociale o religioso, e
perciò rifiutata sia in Cielo che nell’Inferno: “Questa era la setta dei cattivi, a Dio spiacenti ed
ai nemici sui…” (Inferno, canto 3°). Solo più tardi il termine “cattiva” si è esteso per indicare
colei che, colpita dall’avversa sorte, ne diviene prigioniera ed è costretta a chiudersi in una
fantomatica gabbia da lei stessa costruita per difendersi dalla cattiveria del mondo circostante.
Per fortuna di tutti, col passare degli anni, in questa nostra era moderna le cose sono
cambiate notevolmente in meglio. Oggi sono poche le persone che ricordano cosa vuol dire
il termine dialettale “cattiva”, e una vedova viene trattata col dovuto rispetto ed in linea di
massima con molta comprensione; ed anche se a volte qualche pregiudizio purtroppo fa ancora
capolino, il rispetto per gli altri emerge comunque ed ha il sopravvento.


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