Data: 30/09/2003 - Anno: 9 - Numero: 3 - Pagina: 13 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Nicolina Carnuccio (Altri articoli dell'autore)
I rioni del nostro paese hanno per lo più lo stesso nome della chiesa che sorge al centro di ognuno di essi: santa Barbara, San Nicola, Santa Maria… Il nome di alcuni invece si riferisce alla loro esposizione: un rione pieno di sole si chiama “Destru”, un altro che il sole lo vede pochissimo è detto “U mancùsu”. Con la nonna abitavamo al Mancùsu. D’inverno all’Angelus di mezzogiorno il sole s’affacciava sui tetti ma nelle strade giungevano poche spere piene di nebbia sottile. Lungo le strisce di sole, sedute, donne anziane filavano, cani e gatti si assopivano sdraiati per terra, i bambini giocavamo a “petrùhri”, a “u lignèhru”, a “castaràci”, giochi che si facevano quasi da fermi. Le strade ripide e fatte di pietre lisce non favorivano i giochi di movimento. Giocavamo con cose da niente: pietruzze, pezzetti di legno, poche castagne. E se le nuvole ci coprivano il sole, cantavamo una cancone per invitarlo a tornare: “Nesci, nesci sula, pe li pòvari piccirìhri chi non hannu chi mangiàra, nesci sula pe cardiiàra.” La nostra casa era una stanza con una sola finestra e poche cose: un letto grande sostenuto da piedistalli di ferro, un tavolo, sedie, una “barileria” di legno dipinta di nero per i barili dell’acqua e un cassone in cui tenevamo il grano. In un angolo la scala di legno della soffitta. Di fronte la casa il muro alto di una chiesa su cui cresceva la tenera parietaria. Le mie sorelle più grandi e altre bambine la raccoglievano per farne per gioco cestini. |