Data: 30/09/2006 - Anno: 12 - Numero: 3 - Pagina: 17 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
Per una reidentificazione collettiva dei beni comuni |
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AUTORE: Pino Carnuccio (Altri articoli dell'autore)
Ci ritroviamo ancora una volta a parlare di Badolato. Troppe cose si sono dette in questi ultimi venti anni. L’abbandono del borgo, la vendita del paese, l’acquisto dello stesso da parte di multinazionali, lo sbarco dei Curdi, l’integrazione sociale degli stessi, e ancora. Nessuno di questi argomenti mi interessa approfondire in maniera specifica. Mi piace invece considerarli tutti insieme, da un’angolazione disciplinare che più mi compete. è un’occasione per comunicare aspetti generali di un tema vasto, partendo da una realtà specifica come quella che ci riguarda. è noto come in condizioni storiche determinate alcuni mutamenti socio-economici hanno definito trasformazioni fisiche, territoriali: l’abbandono del borgo come conseguenza dell’interesse per la Marina. Una Marina cresciuta senza disegno -come quasi tutte le Marine dei paesi doppi sparsi per la Calabria- attraverso l’edificazione di insignificanti e informi manufatti, le cui facciate assumono, ormai dopo decenni, una valenza storica prima ancora di essere terminati. L’ultimo PRG -approvato nel 2000- senza una forma compiuta, con un disegno che prevede espansioni residenziali e consumo di suolo, è privo di adeguati servizi per la collettività, luoghi di aggregazione e ciò che serve per un dignitoso vivere civile. Purtroppo dovranno passare altri venti anni, affinchè gli occhi dei non addetti ai lavori possano vedere gli effetti di questa sciagurata pianificazione. Mi rendo conto che non c’è spazio per approfondire questo tema: è esso un tema nel tema. Avrei fatto a meno di soffiarci sopra. Non potevo esimermi per le ragioni che cercherò di esplicitare più avanti. Una necessaria parentesi. è invalso considerare in maniera restrittiva l’uso della parola cultura o colto, in quanto ci si riferisce a determinate elaborazioni intellettuali, soprattutto a quelle di carattere letterario o artistico, e quasi mai scientifico. Invero bisogna vedere la cultura anche come quello insieme di tecniche operative, di saperi artigianali che si sono trasmessi nel tempo, adattando gli esseri umani ai luoghi e i luoghi alle loro necessità di vita. E, come tale, un territorio può essere definito colto dal momento in cui reca in sè i segni e le tracce dell’opera dell’uomo in funzione del suo adattamento all’ambiente. Ebbene questo immenso patrimonio culturale che ci circonda è il nostro più importante bene comune, il frutto di quella evoluzione integrata tra insediamento antropico e ambiente, il prodotto nel tempo di un processo di civilizzazione che definisce un sempre nuovo evento culturale, oggetto e soggetto di trasformazione: il paesaggio. Questa immensa opera d’arte1 costituisce la chose humaine par excellence2. In queste definizioni è racchiusa in forma sintetica ed esemplare tutta la complessità degli studi sulla città, sulla sua conservazione, sulla sua trasformazione. Oggi questo interesse si è trasferito su un’area più vasta: il territorio nella sua interezza. Ma a ben vedere già Cattaneo non faceva distinzione tra città e campagna, per il quale tutto l’insieme dei luoghi abitati è opera dell’uomo.3 Ritorniamo a Badolato. La terra agricola con i suoi manufatti -le piccole case dei contadini di un tempo, il cui spazio interno era caratterizzato dal suo essere semplicemente luogo di ricovero ed essenziale spazio di trasformazione dei prodotti della terra- i muri a secco, ma anche le poche case della borghesia agraria, i borghi incastonati su o tra le colline sono la cosa umana per eccellenza perchè costituiscono un immenso deposito di fatiche, sono opere delle mani dei nostri avi, e in quanto tale costituiscono testimonianza di valori, sono permanenza e memoria. Il rapporto tra il luogo e gli uomini definisce e struttura forme determinate e nell’evoluzione di queste finalità anche estetiche risiede la singolarità dei territori. La regione geografica che accoglie Badolato dovrebbe costituire un nucleo fondativo i cui connotati e le cui specificità identitarie devono costituire la base fondamentale e al tempo stesso il limite per ogni possibile sua modificazione fisica. I Piani che regolano la trasformazione del territorio -siano essi Comunali o di livello Provinciale- dovrebbero essere preceduti e coerenti con un corpus di direttive socialmente condivise che definiscano, con riferimento a un orizzonte temporale di medio-lungo termine, i caratteri identitari dei luoghi, i loro valori patrimoniali, i beni comuni non negoziabili, le regole di trasformazione che consentano la riproduzione e la valorizzazione durevole dei patrimoni ambientali, territoriali e paesistici. Purtroppo qualsiasi amministrazione locale di qualsiasi colore politico, in nome di un astratto e spesso illusorio sviluppo economico di breve periodo -assunzione di unità lavorative- finalizzato alla competizione sul mercato locale, contribuisce alla distruzione e non alla salvaguardia di questo grande valore aggiunto collettivo che è il nostro patrimonio territoriale. Si aggiunga poi il fatto che molti beni comuni -in forza di azioni legislative intraprese dal governo nazionale- sono privatizzabili e si possono sottrarre alla gestione collettiva. Mi riferisco in particolare alle riviere marine, lacustri, fluviali, alla privatizzazione di quel che rimane degli usi civici, ma anche ad intere parti urbane da dismettere nelle grandi e medie città. Non conosco vere e proprie ricette, atte a curare questa malattia devastante. Ma quel che mi sento di suggerire, da studioso, è che bisogna puntare sull’acquisizione della coscienza dei luoghi da parte delle comunità locali. Essa si sviluppa anche attraverso la promozione e la riattivazione dei saperi per la cura dei luoghi, che porta con sè una capacità di distinguere le trasformazioni coerenti con la loro tutela e valorizzazione, da quelle distruttive. Che si avvii un processo di reidentificazione collettiva con il giacimento-territorio attraverso una rivisitazione delle propensioni a produrre, ad abitare, a consumare, pur nella consapevolezza che è un processo molto lungo, specialmente nel nostro Mezzogiorno, dove sarà molto più difficile avviare questo cambiamento politico-culturale. Che si impedisca la privatizzazione dei beni comuni, attribuendo all’ente pubblico territoriale il ruolo della loro salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio civico. Pino Carnuccio * Architetto
1. Più di cinquanta anni orsono nell’introduzione al suo straordinario libro l’Autore aveva definito “...la città è un fatto naturale come una grotta, un nido, un formicaio. Ma è pure una cosciente opera d’arte, e racchiude nella sua struttura collettiva molte forme d’arte più semplici e più individuali...” Lewis Mumford, La cultura delle città, Edizioni di Comunità, Milano 1954. pp. XXV-XXVI
2. Claude Lèvi-Strauss, Tristi Tropici, Il Saggiatore, Milano 1960. Pag. 122.
3. ...Ogni regione si distingue dalle selvagge in questo, ch’ella è un immenso deposito di fatiche. (...) Quella terra adunque per nove decimi non è opera della natura; è opera delle nostre mani; è una patria artificiale... Carlo Cattaneo, un economista della metà dell’Ottocento, fu un urbanista ante-litteram. Carlo Cattaneo, Scritti Economici, 3`A1 voll. Felice Le Monnier, Firenze 1956. pp. 4-5. |