Data: 31/08/2008 - Anno: 14 - Numero: 2 - Pagina: 10 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
CHE COSA E' LA GIUSTIZIA? |
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AUTORE: Gianni Pitingolo (Altri articoli dell'autore)
Agli inizi degli anni “settanta” il mio secondogenito che frequentava la terza classe elementare un giorno mentre eravamo a tavola mi chiese: “Papà cos’è la giustizia?” Una domanda a bruciapelo che mi fece allibire ed io con un certo imbarazzo, di rimando: “Perché mi fai questa domanda?” “Perché a scuola e dovunque tutti parlano di ‘giustizia’”. “È un grande valore -gli risposi- che consiste nel comportamento in base al quale si riconoscono e si rispettano i diritti altrui come si vuole che siano riconosciuti e rispettati i propri.” A fine pranzo ho cercato di riflettere perché un bambino di otto anni mi ponesse una domanda del genere, ma, purtroppo, non sono riuscito a darmi una spiegazione. Oggi, a distanza di trentacinque anni mi torna a mente la domanda di mio figlio: che cosa è la giustizia? Domanda da un milione di euro, alla quale avrebbe saputo rispondere soltanto il grande giurista milanese Cesare Beccaria, autore di “Dei delitti e delle pene”, vissuto nel diciottesimo secolo, il quale soleva affermare “NON C’È PEGGIORE GIUSTIZIA DI QUELLA CHE ARRIVA IN RITARDO!” Chissà cosa avrebbe detto, oggi, a distanza di duecentocinquanta anni? Oggi possiamo dire che la “G” è qualcosa di cui tutti parlano, ma soltanto pochi hanno il coraggio di combattere perché si affermi e sia veramente rispettata. E pensare che per chi scrive, un uomo vicino al tramonto della sua esistenza, che ha quasi vissuto tutte le esperienze della vita, rappresenta il 4° comandamento, dopo la Salute (bene supremo), la Famiglia (focolare che teneva tutti) ed il LAVORO (che consente all’uomo di realizzarsi e di vivere dignitosamente). Oggi la cronaca è ricca di esempi di corruzioni, ruberie, assenteismo e scandali vari con la conseguenza che l’uomo, quasi per assuefazione, non si scandalizza più di nulla e chi commette reati non prova vergogna di fronte al consorzio umano, anzi alla faccia del cittadino-elettore si candida ed il più delle volte viene eletto e riesce ad occupare posti di responsabilità per amministrare. Da quasi mezzo secolo sono tanti gli UOMINI che governano il Paese all’insegna dello scialo pubblico e dell’irresponsabilità fino a portarlo nelle sabbie mobili dalle quali non è facile venire fuori. Strano il nostro Paese che registra il 91% dei reati impuniti, dove una causa civile si prolunga sino a 35 anni e dove, ormai, la sua crisi non interessa più nessuno. Un vero record italiano, tutt’altro che invidiabile, mentre il cittadino comune ormai da decenni si domanda: È colpa della magistratura-leggera che non riesce a garantire la certezza della pena o è merito di una avvocatura- preparatissima che sa tutelare e difendere i diritti del cittadino-non-onesto? L’opinione pubblica è costretta ad assistere impotente ad una giustizia morente perché ammalata da tempo ed al cui capezzale non si sono mai avvicendati grandi clinici in grado di curarla per tirarla fuori dalle secche dell’inneficienza che disorienta il cittadino, crea sfiducia e provoca danni incalcolabili. Riteniamo che sia arrivato il momento di dire basta allo scialo pubblico, stop agli scandali; occorre invertire la rotta ed imboccare la strada di una “giustizia più giusta” che tuteli gli onesti e punisca i disonesti. Il nostro auspicio è che per rispetto ai giovani ed a quelli che verranno l’attuale sistema cambi e riesca veramente a scrivere la parola FINE con un coraggioso PUNTO & A CAPO. Ci piace concludere con un “frammento” sulla giustizia composto dallo scalpellino serrese mastro Bruno Pelaggi che verso la fine del XIX secolo fece parte di una giuria popolare del regio tribunale di Catanzaro: Cu vò mu stabiliscia la raggiuni / ava mu senta tutti li campani / sinnò fa dundi vaddi, dundi vadduni / e la giustizia la jetta alli cani. // Unu ava mu è superiori alli quistioni / nomu cundanna viatu li cristiani. / Di lu giustu è nimica la passioni / e la supervia nun di jungia mani. // La causa la fa lu testimoni. / Di riestu pecchì su’ li tribunali? / Ca l’omini sugnu peju di nimali.
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