Data: 30/04/2014 - Anno: 20 - Numero: 1 - Pagina: 29 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
CU' E' DESTINATU U MORA AHRU SCURU A' VOGGHJA U SI FA' MASTRU CANDILARU |
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AUTORE: Giovanna Durante (Altri articoli dell'autore)
Nella cultura popare calabrese sono sempre esistiti elementi di condizionamento come la sorte, il destino, la fortuna che vanno al di l della comprensione umana e che fanno pervenire a successi ma pi spesso ad insuccessi non voluti e non prevedibili dalluomo. Purtroppo la gente del Sud, duramente provata da calamit naturali e da pesanti ristrettezze economiche, presa da un senso di impotenza e di sfiducia in s e negli altri, ha rinunciato spesso alla speranza, alla perseveranza, allintraprendenza e si abbandonata al fatalismo. Tutto quindi stabilito dalla forza cieca del destino che traccia il percorso di ciascun uomo, al di l del quale non si pu andare! Il profondo sconforto e la conseguente rassegnazione che ha caratterizzato per secoli la vita dei nostri avi hanno causato un grosso freno nello sviluppo, nella crescita sociale e nellevoluzione della Calabria ed in generale del Sud. Si diceva un tempo: Cu destintu u mora ahr1u scuru a vogghja u si fa mastru candilru (Chi destinato a morire al buio inutile che si faccia fabbricante di candele); ed anche: Cu sbenturtu nescia, peju mora (Chi nasce sventurato morir ancor peggio). Questi proverbi esprimono in pieno il senso del concetto precedentemente esposto: non si pu cambiare il corso del destino; siamo destinati a soccombere! Si tratta comunque di un periodo storico da noi molto lontano quando i nostri antenati vivevano in un mondo chiuso, dove il prodotto del lavoro, rapportato alle energie profuse era piuttosto scarso e il denaro circolava a fatica. In un clima siffatto non era certo facile pensare ad un miglioramento socio-culturale ed economico della popolazione dei paesi simili al nostro; anzi era gi un miracolo poter assicurare a s ed ai propri familiari il necessario per la sopravvivenza. Anche la mentalit ristretta di quel tempo ha giocato un ruolo decisivo nel modo di pensare e di agire del popolo calabrese e nella conseguente possibilit di sviluppo della nostra terra. Difatti fino ad alcuni decenni fa i figli seguivano automaticamente le orme paterne e spesso, sin dalladolescenza, erano costretti a dedicarsi allo stesso lavoro dei propri genitori. Non a caso si diceva: Larta do tata menza mparta (Il mestiere del pap gi per met appreso); del resto il padre-padrone di un tempo che dominava lintera famiglia non avrebbe mai consentito alla propria prole di nutrire aspirazioni che non fossero adeguate al tenore di vita della famiglia dorigine, e quindi alle sue possibilit economiche ed al suo ceto sociale. Perci quasi tutti i giovani di un tempo, remissivi e condiscendenti per forza di cose, venivano avviati al lavoro dei campi, malgrado le aspettative fossero sempre condizionate dai fenomeni meteorologici che decidevano del raccolto annuale e quindi della possibilit di sostentamento dellintera famiglia. Neanche lartigianato locale, legato comera alle potenzialit della vita contadina, offriva garanzie di guadagni adeguati alle normali esigenze delle famiglie. Di fronte ad eventi che vanificavano il lavoro di un anno, facendo precipitare nella miseria unintera famiglia, certo si reagiva con tristezza e rabbia, ma anche con rassegnazione e con espressioni del tipo: U destnu meu vozza accuss (Cos ha voluto il mio destino), ed anche Comu vola Ddu (Come vuole Dio). Era questo il modo di affidarsi alla volont divina ma anche di arrendersi accettando passivamente sconfitte e problemi esistenziali di varia entit in nome di un destino potente ed immutabile. |