Data: 31/03/2006 - Anno: 12 - Numero: 1 - Pagina: 48 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Mario Ruggero Gallelli (Altri articoli dell'autore)
La semplicità e l’inventiva caratterizzavano i giochi dei bambini di una volta: un oggetto misero poteva persino essere fonte creativa di divertimento sano e formativo. Da questa prerogativa, si può dire, sia scaturito il gioco “Acchjappafèrru”, che per la sua dinamicità potrebbe, ancora oggi, affascinare quei bambini sedentari e ammaliati dai passatempi ad alta tecnologia. Si sorteggiava fra i partecipanti colui che doveva fare da cacciatore, mentre tutti gli altri si sguinzagliavano nei vicoli della “ruga” in cerca di un qualsiasi oggetto di ferro a cui aggrapparsi. Poteva essere uno dei tanti anelli fissati davanti i “catòja” dove si legavano gli asini o i muli, uno dei chiodi piramidali che ornavano i grandi portoni dei maestosi portali, un battiporta, ecc. L’oggetto individuato veniva afferrato diventando così un porto sicuro. Ma non per molto tempo: era possibile, infatti, rimanere attaccati alla presa qualche secondo per passare obbligatoriamente ad un altro oggetto anch’esso ferroso. Se nel lasso di tempo fra una presa e l’altra, non protetti dal ferro, si veniva toccati dal cacciatore, i ruoli venivano invertiti e da preda si diventava inseguitore. La dinamicità del gioco imponeva, appunto, prontezza decisionale nell’individuare il momento propizio per abbandonare una postazione così da “acchiappare” il ferro successivo. |