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Data: 31/08/2015 - Anno: 21 - Numero: 2 - Pagina: 11 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

INDIA DEL SUD (Spigolature di viaggio)

Letture: 450               AUTORE: Roberto Gambini (Altri articoli dell'autore)        

Il viaggio verso l’interno dello stato del Kérala era diretto verso la cittadina di Periyar. La cittadina
è insignificante come insediamento umano e architettura, ma offre interessanti spunti turistici.
Un'esperienza che non posso documentare con delle foto è il massaggio ayurvedico. La mia
‘soave’ compagna di viaggio Anna mi aveva convinto che sarebbe stata un’esperienza divina. Si
era sottoposta a tale massaggio in Italia e le era molto piaciuto, per cui… mi sono sottoposto,
così, allegramente, senza pensarci su molto. Avevo grosse aspettative. Avevo sentito parlare del
massaggio ayurvedico e dei suoi benefici, per cui non ebbi dubbi. Questo era il luogo dove avrei
avuto la mia prima esperienza! E poi chissà quante altre! Direttamente in India, e dove altrimenti?!
Ne sono uscito vivo per un pelo! Non è stato un massaggio ma un tentativo ben camuffato di
omicidio. Avete in mente la statua di San Bartolomeo nel Duomo di Milano? Quella in cui si vede
il santo che porta la propria pelle a tracolla perché gliel’hanno tolta? Ebbene, io ho pensato che
sarei uscito così da quel massaggiatoio, se mai ne fossi uscito vivo…
Mi hanno ‘lavorato’ come un impasto per il pane, di quelli che bisogna trattare e ritrattare e
tritrattare con le nocche e con i pollici in modo da essere sicuri che farina, sale, lievito e acqua siano
omogeneamente distribuiti nel blocco. Ad aiutare il massaggiatore - massaggiatore non mi sembra
un nome appropriato, credo che sarebbe meglio definirlo omicida, sicario, scherano, killer… - c’era
un olietto nauseabondo perché aveva decisamente l’odore di sugo d’arrosto, non scherzo, odorava
di quel sughetto che io amo incondizionatamente quando mangio l’arrosto, sparso anche sulle
patatine al rosmarino, ma su di me mi conduceva a pensieri nerissimi di vendetta, cioè di come avrei
potuto vendicarmi di quel fottuto di ometto che mi stava malmenando in quel modo vergognoso,
aggiungendo, senza batter ciglio, almeno dieci anni di invecchiamento alla mia carcassa…
Quaranta minuti di soprusi, violenza, rovina di ogni muscolo e di ogni osso. Ma non era finita,
eh no! Al 41.mo minuto l’ometto mi ha fatto alzare e con un ditino puzzolente mi ha indicato una
specie di casetta di legno… aperta davanti e con un seggiolino dentro... sul quale sono stato invitato
(si fa per dire!) a trascinare i miei dolori. Non appena mi sono seduto, ha chiuso la porticina e
ha abbassato dei coperchi intorno al mio collo. Ero in trappola! Adesso mi avrebbe cotto. Il che,
tutto sommato, non era poi del tutto fuor di logica: già ero cosparso di condimento! Ho pensato
per qualche istante che mancavano le erbette, ma insomma, forse si poteva anche farne a meno.
Loro, gli Indiani, avrebbero aggiunto il curry a cottura terminata. E così è stato. La temperatura è
lentamente salita… salita… salita fino a quando con un debole urletto ho fatto capire all’ometto
che si stava rovinando il pranzo… Preoccupatissimo ha sollevato i due coperchi facendo uscire una
potente zaffata di sudore e odor di sughetto… ho respirato liberamente per un trenta secondi e poi
la tortura è ricominciata… altro urletto, altra apertura dei coperchi, che questa volta sono rimasti
aperti. Ho pensato che il tempo per preparare un arrosto era un po’ corto, ma forse la carne umana
non necessita di un trattamento così penetrante come quella di manzo… o forse a lui piaceva
l’arrosto al sangue… o, essendo Periyar a 800m d’altezza, la cottura era più veloce… o… non mi
son venuti altri pensieri in mente. Ero troppo esausto.
L’ometto mi ha rimesso in piedi, puntellando i miei traballamenti, e mi ha scartavetrato con un
paio di asciugamani per togliermi quello che poteva del sughetto d’arrosto. Poi, con un sorrisetto
infido, mi ha fatto capire che la procedura era finita. Non volevo credere alla mia fortuna: ero
ancora vivo! Ho sospettato che il sicario fosse un apprendista… meno male, forse ero caduto
bene. Sorridendo debolmente mi sono accomiatato con il solito Namasté a mani giunte e il piccolo
inchino e mi sono diretto verso il pulmino, che mi aspettava all’uscita. Mi hanno raccolto e mi
hanno portato in albergo. Non ricordo più nulla!
Chiedo scusa per la mancanza di foto, ma forse è una fortuna: non credo che sarebbero state
gradite.
Roberto Gambini
(Roberto Gambini non è di Badolato, ma da qualche anno ne è entrato in contatto. Vive
all’Estero, e conosce “La Radice” della cui rete in qualche modo fa parte. Intelligente e spensierato
giramondo, ha di recente fatto una ricca e bella esperienza viaggiando nell’India del Sud, che ha
fotografato scrivendone abbondantemente. Gli abbiamo chiesto un saggio e ci ha accontentato,
mandandoci l’interessante e brioso scritto di sopra che con piacere offriamo ai nostri lettori, che
certamente si uniscono a noi nel ringraziare.)


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