Data: 31/12/2003 - Anno: 9 - Numero: 4 - Pagina: 34 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
PANA ’E VILàNZA NON LINCHJA PANZA |
|
Letture: 1329
AUTORE: Giovanna Durante (Altri articoli dell'autore)
(Il pane comprato a peso non riempie la pancia)
Tale proverbio è nato nelle campagne tra gente umile e laboriosa in un periodo storico dominato da un’economia prettamente rurale. I contadini, malgrado le tecniche agricole e gli attrezzi piuttosto rudimentali, cercavano di sfruttare al meglio le risorse della terra e le massaie utilizzavano i prodotti ricavandone abbondanti provviste. Le famiglie, quasi tutte numerose, erano generalmente autosufficienti per ciò che concerneva granaglie, legumi, olio, vino, frutta e verdura; ma quando si verificavano annate di carestia o di scarsa produzione, i disagi erano rilevanti e la lotta per la sopravvivenza più evidente. Si era in un periodo in cui la moneta circolava ben poco, i proventi dei prodotti agricoli erano scarsi e gli esigui risparmi dell’annata precedente non consentivano sonni tranquilli, specie se si era costretti a ricorrere al bottegaio anche per generi di prima necessità. In queste circostanze si constatava quanto fosse apprezzabile in quantità, oltre che in qualità, il consumo della roba casereccia che solitamente riempiva il famoso “casciùni” e quanto, al contrario, risultasse scarso ciò che passava sulla bilancia del commerciante. In particolare, per quel che concerne il pane, le massaie solevano panificare in casa, settimanalmente o anche più volte la settimana; e le sfornate dal “cocipàna” (forno a legna) erano tali da soddisfare pienamente le esigenze nutrizionali di tutta la famiglia. Non dimentichiamo che un tempo il pane rappresentava l’elemento principale di ogni pasto giornaliero consumato in casa o in campagna. Quando la materia prima, ossia il grano necessario alla panificazione veniva a mancare, occorreva rifornirsi di pane presso il fornaio del paese; in tal caso il risparmio era d’obbligo e nella famiglia, grandi e piccini soffrivano per l’improvvisa ristrettezza: non riuscivano a saziarsi col pane “da vilànza”, comprato a peso nella quantità strettamente indispensabile o addirittura razionato, come si verificò nel periodo bellico (“pana cu a tèssara”). Oggi le innumerevoli qualità di pane in commercio sostituiscono il vecchio “pana ’e casa” che rimarrà nel nostro ricordo come qualcosa di raro e prelibato, sia per le sue caratteristiche di bontà e genuinità ma anche per il suo inconfondibile sapore… d’infanzia. |