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UN’ALBA DA MIA MADRE Dal balcone della mia casa, 17 marzo attorno alle sei Vito Teti
Autore:     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/09/2006 - Anno: 12 - Numero: 3 - Pagina: 30 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

VERRA' tempo ...

Letture: 1257               AUTORE: Nicola Maddaloni (Altri articoli dell'autore)        

Un bel giorno, fra tanti, ho sorpreso un “figlio adottivo” metter tenda all’Immacolata.
Gli ho chiesto come mai avesse deciso di spendere in una zona simile.
Altri miei siti, tranquilli, più accessibili e meno precari avrebbero potuto ospitarlo.
Non mi ha risposto subito, forse per farmi riflettere.
E poi d’un tratto, scrollando un po’ le spalle ha mormorato:
“Vuoi per caso prenderti gioco di me?
Non vedi che qui tutto dirupa?
Solo da pochi mesi ho acquistato e già mi è crollato il tetto!
Comunque ti partecipo che non penso di arrendermi.
Non devo!
Se cedo, casa mia andrà giù e poi, man mano, anche le altre alle sue spalle.
Se ricostruisco il tetto sarà più facile resistere, anche per le altre case ancora alle sue spalle.”

E da allora, ad ogni alba, butto uno sguardo giù, verso l’Immacolata, a curiosare se quella casa ancora permane.
Certo!
Non solo c’è ancora; è anche successo che altri figli adottivi si sono accampati lì intorno, come paletti o se si vuole come baluardi; e magari, tra gli alti e bassi della Congrega, qualcosa resiste all’avanzare del “dirupo”.
Ora basta, troppo mi sono dilungato a narrarvi di questo figlio sprovveduto.
Non posso non darvi atto che altri figli adottivi si son dati da fare ed in altre mie zone, di pari o minore degrado.
E sempre, ad ogni alba, me li guardo tutti; proprio come fa il buon padre di famiglia con la sua prole.
Anche perchè la mia prole è numerosa; sono comunque centinaia di persone ed inoltre molto ben assortiti.
Ho figli naturali; ho figli adottivi, del nord, del sud, mediterranei, europei e non, giovani e meno giovani.
Ho ancora tanti figli prediletti: quelli cioè che hanno memoria dei miei trascorsi; quelli che ripercorrendo i miei vicoli, le mie stradine, i miei sentieri, ritrovano casa, bottega,.........
Ed io che ho visto più di trecentomila albe ed altrettanti tramonti ho imparato ad aspettare sapendo che arriva tempo e col tempo che ci vuole.
Tempo a che le mie colline s’infittiscano ancor più di vigne, olivi e frutteti.
Tempo a che esse siano fornite di laghetti collinari per la regolazione delle piogge a favore delle stagioni aride.
Tempo a che si ricostruiscano sentieri e terrazzi, selciati e muretti.
Tempo a che siano ripopolati stalle e fienili.
Tempo a che siano riaperti catoj e ricostruiti mulini.
Tempo a che siano portati alla luce le antiche vestigia della città e del contado.
Tempo a che le argille, altrimenti votate inesorabilmente al mare, tornino a cuocere nelle fornaci, per l’antico sapere di vasi, coppi e mattoni.
Tempo a che divenga scuola tutto quanto per il tramandarsi dell’antico sapere.
Ma anche tempo per l’ardita marina; tempo per un oculato ed attento Piano Particolareggiato, frutto di intese tra Amministrazioni Governative, Anas, Ferrovie e di condivisione con i Cittadini.
Certo non gradirei che l’adeguamento della “106” si trasformasse in una banale variante, magari a monte dell’attuale tracciato ed in area quasi interna, con spreco di prezioso mio suolo, sfregio delle mie colline ed emarginazione dell’attuale struttura produttiva di valle.
Altri paesi già attraversati da tali nuove varianti, come sopra concepite, mi hanno appena avvertito in tal senso.
Mi piacerebbe invece che i tanti miei figliuoli, naturali o adottivi, del sud o del nord, italiani o stranieri, europei e non, si adoperassero a che l’adeguamento della “106” fosse, per la mia marina, occasione di sviluppo e non di emarginazione.
Anche se sono un semplice borgo di collina, conosco abbastanza il mio territorio e penso che il tracciato della “106” debba restare invariato; penso che sia da realizzare un asse integrato che copti la ferrovia e che con essa, nel formare un terminale plurilivello e multifunzione, produca connessione con l’abitato ed invito diffuso e discreto alle pendici che portano a me.
So bene che tanto implica tempo e risorse; so, altrettanto bene, che un concorso di idee sarebbe meno dispendioso e comunque utile allo scopo.
E poi, visto che per vent’anni mi hanno conosciuto come il paese in vendita, per i prossimi venti potrei chiamarmi: “il paese che aspetta”.
Può darsi però che stavolta vent’anni sian troppi, non necessari.
Mi par di sentire... da qualche mio uscio... una sorta di TAM TAM... man mano più forte ed intenso......... e poi un accorrere, un brulicare ed un saziare i catoj di roba e di merci per nuovi scambi; tracce di antiche rotte per un ritrovato Mediterraneo.

Nicola Maddaloni * Architetto


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