Data: 31/08/2015 - Anno: 21 - Numero: 2 - Pagina: 9 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
UNA VOLTA ANDAVANO AL MARE? |
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AUTORE: Ulderico Nisticò (Altri articoli dell'autore)
Ancora verso gli anni 1960 erano ben poche le marine abitate, e con sporadici insediamenti; e fino a tempi recentissimi Davoli Marina era classificata “case sparse”. Sì, vero, stavano tutti sui colli almeno dal X secolo; e però non tutti e non del tutto. Dalla fine del XV secolo, le coste vennero munite di torri cavallare e castelli, e ne abbiamo già parlato su La Radice. Poiché qui vogliamo parlare di persone e non di cose, ricordiamo solo che presidiavano le torri un “caporale” e dei “cavallari”: riconoscete i cognomi? Li pagavano i comuni, spesso consorziati allo scopo. Guardavano il mare dall’alto, ma non so se facessero il bagno. Si navigava di cabotaggio, ma, per strano che paia, non è detto che i marinai sapessero nuotare. Più facile che ciò avvenisse ai pescatori, che usavano barche piccole e precarie. La pesca era praticata con vari metodi, e spesso rischiando il largo. Il pericolo per le barche a vela era il ponente, e per dire una situazione di rischio si dice tuttora “vent’e terra!”; e per mandare via con disprezzo qualcuno, diciamo “ala!” o “allasca”, imperativo da alare, alzare la vela, o prendere il lasco. E insistere si dice “’nsivara”, usare il sego come negli scalmi. Queste parole dialettali attestano l’antichità dell’arte della pesca e della navigazione. La corrente si chiama, con parola greca, “rema”. Vero che i pescatori e “marinari” di Soverato sono in gran parte di origine siciliana, da Acireale, Aci Trezza, Aci Castello… Si racconta che quando si avventuravano in alto mare, il loro riferimento fosse lo sferragliare del treno: la linea ionica venne completata nel 1875. Quando lasciavano Soverato per le secche di Santa Caterina, facevano una sorta di accampamento sulla spiaggia di S. Andrea, restandovi un dieci giorni e più; a turno uno di loro tornava in treno con il pescato e per fare rifornimenti. Di giorno il loro riferimento era il Vallone di Bruno; di notte, una lanterna sul tetto della chiesa del santo: la spensero nel 1940 per l’oscuramento del tempo di guerra. C’era qui e lì l’usanza dei “pajjari”: le famiglie si trasferivano sulla spiaggia, trascorrendo alcuni giorni da quello che oggi chiameremmo campeggio: sole, mare, sabbiature, mangiate… e amori, immagino. Per il giorno dell’Assunta, che i Romani avevano chiamato e il fascismo tornò a chiamare Ferragosto, era prassi che si scendesse in processione fino alle spiagge. Il poeta davolese Tucci cantò questa costumanza. I più audaci si tuffavano, ma una cupa leggenda voleva che quel giorno tra le onde un uomo dovesse morire. I bagni in senso moderno hanno inizio, si racconta, quando Carolina del Berry (1798-1870), nata Borbone Due Sicilie, una donna di straordinarie qualità e non senza misteri, decise di immergersi nelle acque francesi. Si praticavano i bagni aristocratici in Liguria, a Viareggio, a Napoli e Sorrento, a Taormina… Ma qui in Calabria, come in gran parte d’Italia, iniziarono un po’ più tardi; ed ebbero obbligatoria diffusione con le “colonie” fasciste. Un caso a sé, Soverato. Per secoli, del resto, era stato, tra i paesi collinari, quello più vicino alla costa; e lo si raggiungeva in barca, dove ancora si dice Bonporto. Almeno dal XVII secolo è attestata una località chiamata Santa Maria di Poliporto, con una torre e una chiesetta, e, in seguito, una fortezza a protezione di magazzini. Nel 1811, Soverato viene dichiarata porto; durante il Regno delle Due Sicilie ospitava un piccolo presidio con un sottufficiale e due militari. Già alla metà del XIX secolo capitava che gli abbienti dell’interno acquistassero o affittassero una casetta a Santa Maria: lo attesta la vicenda di Carlo Amirante. Arrivarono cospicue famiglie di commercianti e imprenditori, che portarono anche usi e abitudini diciamo così nuovi rispetto alle consuetudini locali: tra queste, i bagni di mare, che a Soverato sono documentati già dalla delibera comunale del 1881 che sancisce il trasferimento della sede municipale in Marina. Si costruivano sulla battigia “palafitte” comode e attrezzate, dove ci si trasferiva pur abitando sul corso. Restano belle foto di gioventù allegra e sportiva. Una severissima legge imponeva che l’area degli uomini fosse separata da quella delle donne di cento metri: addirittura cento metri! Che bacchettoni, che moralisti! Oggi, senza distanze, andiamo al mare per radicata abitudine. |