Data: 31/12/2004 - Anno: 10 - Numero: 4 - Pagina: 19 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
è una civiltà che scompare, e su di essa non c’è da piangere, ma bisogna trarre, chi ci è nato, il maggior numero di memorie. (Corrado Alvaro)
Educati in qualche modo anche noi alla Scuola del nostro grande conterraneo di San Luca, lo andiamo ripetendo da tempo, in coro con amici di cultura che ci sono vicini, che non si può indugiare a piangere su un passato che inesorabilmente scompare. Così come andiamo ripetendo che noi, che ci siamo nati, abbiamo il dovere di trarre il maggior numero di memorie dalla civiltà di cui siamo comunque impastati. Da ciò il nostro impegno, di ricerca, recupero, conservazione, partecipazione. Da ciò anche il MUSEO, che a Badolato ancora non c’è. Altrove, invece, sì. Abbiamo qualche volta citato su “La Radice” il Museo della civiltà contadina di Monterosso Calabro, ormai da anni meta di scolaresche e di turisti da ogni parte della Calabria e del resto d’Italia. Ma numerosi altri ce ne sono, in Calabria. Di recente siamo venuti a conoscenza del Museo “A lumèra”, a Bivongi, cittadina a due passi da Badolato alla quale ci capita di recarci spesso a motivo d’interessi culturali di non poca importanza. Questo piccolo paese della vallata dello Stilaro, schiacciato, purtroppo dalla mole del Consolino, può vantare caratteristiche e qualità non comuni, di tipo geografico, storico, economico… Ha “Il Paesano”, uno dei più longevi periodici locali della Calabria. Ma anche un vino rosso tra i migliori della nostra regione. E le miniere di molibdeno, e le vecchie ferriere, e la cascata del Marmarico, uno dei più noti tra gli innumerevoli salti d’acqua calabresi. I Bivongesi possono citare anche Salvatore Quasimodo nella veste di giovane geometra che ha lavorato per la realizzazione della strada provinciale che porta al paese. Così come possono scrivere che la loro vecchia centrale idroelettrica è tra le più antiche del Meridione. E hanno un sito bizantino, vivo e attivo grazie alla dinamica presenza di un monaco venuto direttamente dal monte Athos, tra i più belli e i più noti d’Italia. Non sapevamo che a Bivongi ci fosse anche un Museo della civiltà contadina e artigiana. Di recente, dicevamo, siamo stati invitati a trascorrere alcune ore serali in immersione quasi totale tra le migliaia di oggetti del Museo “A lumèra”. Ad ospitarci alcuni amici, tra i quali Paolo Gullà, detto Cartìna, fondatore e proprietario del Museo. La prima sensazione è stata di stordimento, incapaci di soffermare lo sguardo su qualche oggetto specifico, incalzato da numerosissimi altri quasi incollati, di sopra, di sotto, dai lati. Poi la prima considerazione, un immediato giudizio: gli oggetti raccolti nelle due stanze sono un tesoro d’inestimabile valore. Osserviamoli quindi, con l’attenzione che meritano. Abbiamo contato almeno venti lumèri de zìngari; altrettanto dovevano essere la lanterne, tutte prodotte, ci è stato riferito, dallo stagnino bivongese Signor Ranieri, scomparso qualche anno fa più che novantenne; almeno quindici le trappole, per topi, per uccelli, per ghiri, per volpi; un telefono in ghisa che ricorda probabilmente Meucci; una macchina da cucire tra le più vecchie mai viste; più di una tazza di gabinetto in terracotta, tra i primi cessi d’adòri; un basto da ciuco. E comò, comodini, erpici, vomeri, falci, scuri, zappe, arcolai, telai; seghe pialle e trapani di ogni tipo per falegname; decine di arnesi da calzolaio; numerosi mortai in granito e tante stoviglie in terracotta, dal colapasta ai piatti taràntini; innumerevoli chiavi e chjavatùri prodotti dai fabbri del luogo. Ci fermiamo qui, anche perché siamo certi che, non avendo preso nota al momento, sono decine e decine gli oggetti che dimentichiamo d’aver visto. Siamo altrettanto certi che non ce ne vorrà, per questo, l’amico Gullà, l’attento e infaticabile ricercatore da oltre vent’anni, affrontando notevoli sacrifici anche di tipo economico, in nome di una grande passione per la cultura passata. E siamo pure sicuri che ci ha perdonato se lo abbiamo tempestato di domande, per tutta la serata, e lui a seguirci e a risponderci, con il sorriso e la quasi riservatezza della gente buona. In qualche modo supportato, il nostro Signor Gullà, dagli altri Bivongesi presenti: Egidio Simonetti e Giuliano Ranieri, figlio, quest’ultimo, del novantenne stagnino scomparso di recente, mentre era ancora in attività. Con noi anche Nicola Murace, depositario anch’egli di un notevole patrimonio culturale, di tipo filmico, che con tenacia e passione va costruendo recandosi in ogni luogo della nostra terra per fermare con la telecamera le immagini più belle e più significative delle cerimonie e feste religiose, talvolta al limite del mito e della magia. Il prossimo viaggio a Bivongi sarà per dare uno sguardo al Museo dell’Emigrazione, privato anch’esso, ci viene detto, dovuto all’impegno di un altro bivongese, Salvatore Tassone. Rimane, inoltre, da visitare e da ammirare l’Ecomuseo, che supera i confini territoriali della stessa Bivongi. Durante il viaggio di ritorno alcune spontanee e quasi scontate domande: Cosa manca a un così gran numero di reperti, che costituiscono parte del patrimonio storico di un popolo, perché abbiano collocazione e sistemazione tali da renderli pienamente fruibili da parte di tutti? Perché il privato e non il Pubblico? A chi spetta provvedere? Quali gli ostacoli che si frappongono? |